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Articoli

di Sisto Capra

CRISTOFORO COLOMBO E PAVIA


“Cristoforo Colombo, lo scopritore dell’America, non nacque da un oscuro operaio della lana di Genova, come si è sempre sostenuto in Italia, o da un principe di Granada, come si dice in Spagna, ma fu figlio naturale di papa Innocenzo VIII e di una nobildonna. E i suoi destini sono strettamente intrecciati con Pavia. Egli avrebbe studiato alla Certosa tra i 12 e i 14 anni di età, cioè tra il 1458 e il 1461. La verità è racchiusa nella teca conservata nella Biblioteca Universitaria dell’ateneo di Pavia”.

È questo, in sintesi, il contenuto di una lettera che lo studioso romano Renato Biagioli ‑ Professore di scuola media superiore, autore di testi teatrali e da dodici anni votato a dirimere lo storico dilemma sull’origine del grande navigatore ‑ ha recentemente inviato al rettore Roberto Schmid e al genetista Carlo Alberto Redi.

Biagioli da un lato invita Schmid ad autorizzare l’analisi dei frammenti ossei contenuti nella teca, rendendo possibile la ricerca che “cambierebbe le sorti dell’Italia, del Vaticano e del mondo intero” e, dall’altro, fa appello a Redi affinché si renda disponibile a svolgere l’analisi genetica sui frammenti. “Solo un’analisi del Dna estratto da quei resti ‑ scrive Biagioli ‑ può rivelare la verità al mondo”. L’unico problema: l’analisi del Dna del presunto Cristoforo Colombo costerebbe alcune decine di migliaia di euro. Ma Biagioli è convinto che non sarebbe un ostacolo insormontabile: “Ritengo che gli sponsor si troverebbero per una ricerca che riscrive la storia dell’umanità”.

le ceneri di Colombo

Non è la prima volta che il caso del "Colombo pavese" viene portato all’attenzione del pubblico. Il primo a sostenere tale proposta è stato – da oltre dodici anni fa – lo studioso e giornalista romano Ruggero Marino, autore del libro “Cristoforo Colombo e il Papa tradito” (ed. RTM, 1991 e 1997) e di diversi articoli sulle vicende connesse alla “scoperta” dell’America (in particolare sulla rivista Hera. Lo scorso 8 novembre, Marino ha svolto un interessante intervento al Simposio internazionale di San Marino sulle origini dell’uomo, ed ha invitato nuovamente alcuni ricercatori pavesi a stimolare l’Università perché dia luogo alle analisi del Dna delle ceneri di Colombo. Qualche anno fa, anche l’attore e drammaturgo pavese Francesco Di Maggio si era fatto portavoce delle sollecitazioni di Marino ed aveva invitato l’Università di Pavia e Carlo Alberto Redi a sottoporre le ceneri conservate nella Biblioteca all’esame del Dna.

I ricercatori chiedono di confrontare il Dna dei resti ossei custoditi nella teca con il materiale biologico di un vivente della famiglia nobiliare genovese Cybo, quella di Giovanni Battista Cybo, cardinale di Genova poi diventato papa col nome di Innocenzo VIII. Ve ne sono alcuni che vivono a Milano, Novara e Roma e che sarebbero pronti ad offrirsi per un’analisi in grado di gettare una nuova luce sulla scoperta dell’America. Nel caso fosse provata la consanguineità genetica, seppure remota, tra le ceneri di Colombo e il materiale biologico di un successore di Innocenzo VIII, si avrebbe l’evidenza di una traccia di parentela.

Anche Renato Biagioli ha scritto un saggio dal titolo “Se Dio vuole (e Chiesa acconsente ...) San Cristoforo Colombo figlio del Papa Innocenzo VIII e uomo mandato dalla Chiesa”, libro che è stato presentato il 19 dicembre 2003 a Roma. “La formulazione della mia tesi ‑ dice Biagioli ‑ risale al dicembre 2002, ma l’avevo già avanzata in un.libro pubblicato nel luglio del 2000. Oggi però si rivela quanto mai attuale perchè l’Università di Granada, attraverso l’anatomopatologo José Antonio Lorente Acosta, è in procinto di divulgare con grande risonanza internazionale l’esito delle sue ricerche riguardanti il confronto del Dna tratto dai resti di Cristoforo Colombo con quello del suo presunto fratello Diego. Proprio questo confronto potrebbe riservare una grossa sorpresa, che aprirebbe un clamoroso caso internazionale, che smentirebbe la convinzione tradizionale secondo cui Cristoforo e Diego ebbero un padre e una madre in comune: Domenico Colombo, laniere genovese, e Susanna Fontanarossa”.

La convinzione di Biagioli è che il grande Cristoforo, a differenza del fratello, non avesse natali plebei, ma di altissimo lignaggio nobiliare. Lo studioso romano cita a questo riguardo un’affermazione fatta da Papa Pio IX nel 1851, il quale disse: “Quando saranno noti quei documenti che riguardano parte del Nuovo Mondo scoperto da Cristoforo Colombo, apparirà con la più grande certezza che lo stesso Colombo intraprese il suo eccellente piano per l’impulso e con l’aiuto di questa Sede apostolica, e soprattutto con grande appoggio del clero”.

“Ho già inviato una lettera nel dicembre 2002 al rettore Schmid ‑ prosegue Biagioli – Questi finora ha mantenuto un comprensibile silenzio e un prudente riserbo, presumibilmente perché desidera conoscere i risultati della ri­cerca spagnola, prima d’imbarcarsi in qualche eventuale importante iniziativa”.

le Antille

“Il laboratorio di biologia dello sviluppo dell’Università di Pavia ‑ afferma il professor Carlo Alberto Redi ‑ ha messo a punto le competenze per condurre le ricerche di paleobiologia. Abbiamo svolto lo studio sul Dna antico con il museo etnografico Pigorini di Roma sul progetto della necropoli di Isola Sacra‑ (Ostia). Siamo dunque pronti”.

Nel settembre 2002, alla vigilia del lancio da parte degli spagnoli del grande progetto di ricerca su Colombo del governo regionale di Andalusia, Redi lanciò un appello alla comunità scientifica italiana, nell’imminenza del 510° anniversario della scoperta dell’America: “Cerchiamo il Dna di Cristoforo Colombo a Pavia e a Genova. Propongo di dar vita ad un progetto dì ricerca italiano per risolvere finalmente i due enigmi che accompagnano il mondo da mezzo millennio. E cioè: se Colombo sia genovese o spagnolo e se sia sepolto nella cattedrale di Siviglia o a Santo Domingo”.

Carlo Alberto Redi all’epoca non aveva nascosto di essere perplesso sul progetto di Siviglia e aveva detto di ritenere che assai difficilmente avrebbe risolto l’enigma di Colombo: “Il Dna da confrontare, con il progetto del professor Lorente, è quello del presunto padre e del fratello del navigatore. Se anche l’analisi genetica dirà che le ceneri sono di un figlio del principe di Viana, avremo sempre il dubbio che si tratti veramente di Cristoforo Colombo, poiché all’epoca regnanti e prhicipi avevano molti figli naturali. Il verdetto del Dna, in questo caso, sarebbe quindi un elemento a favore di Colombo spagnolo, ma non conclusivo, e il problema dell’origine dello scopritore dell’America resterebbe irrisolto”.

“Ben diverse ‑ aveva continuato Redi ‑ sarebbero le prospettive di un progetto di ricerca italiano sulle origini di Colombo conservate ‑a Pavia. Disponiamo, infatti, delle ceneri delle presunte ossa di Colombo, da cui possiamo provare a estrarre il Dna. Non si tratta di "rispondere" agli spagnoli, quanto di svelare il vero Cristoforo Colombo, ciò che sta a cuore di tutti, italiani e spagnoli”.

copertina

Genova, Siviglia o Vaticano: sono tre le ipotesi in campo sull’origine del navigatore

Colombo genovese. È l’ipotesi sostenuta dagli italiani. In base ad essa, Colombo (Genova 1451‑Valladolid 1506) sa­rebbe figlio dell’operaio laniero genovese Domenico Colombo e di Susanna Fon­tanarossa. Egli emigrò pri­ma in Portogallo e poi in Spagna, da dove ottenne alfine mezzi e consenso al viaggio verso il Nuovo Mondo dai re di Castiglia Ferdinando e Isabella. Toc­cò terra a San Salvador il 12 ottobre 1492. La teca conservata nella Bibliote­ca Universitaria di Pavia giunse il 5 agosto 1880 e venne ottenuta dall’allora bibliotecario Carlo Del­l’Acqua, che se la fece mandare dall’arcivescovo di Santo Domingo, il frate cappuccino Cocchia. Se­condo questa ipotesi,  Co­lombo sarebbe sepolto a Santo Domingo.

Colombo spagnolo. È la tesi che cerca di dimostrare il progetto del governo regionale di Andalusia (Spagna), lanciato il 17 settembre 2002 dall’Università di Granada e affidato all’anatomopatologo Josè Antonio Lorente, del Laboratorio di Identificazione genetica. In base a questa ipotesi, Colombo si chiamerebbe in realtà Cristobal Colon e sarebbe nato nell’isola di Maiorca (Baleari) da Margalida Colon e dal principe di Viana, imparentato con i Re Cattolicissimi di Castiglia e confinato sull’isola al padre. E sarebbe sepolto sotto la cattedrale di Siviglia. Lorente ha riesumato i resti ritenuti dello scopritore dell’America e li ha messi a confronto genetico con quelli del principe dì Viana e del fratello di questi Diego.

Colombo figlio del papa Innocenzo VIII. È l’ipotesi avanzata da diversi anni da parte dello storico ed ex‑giornalista del "Tempo" di Roma Ruggero Marino, e sostenuta anche dallo storico romano Renato Biagioli, che ha pubblicato un primo libro nel 2002 e un secondo nel 2003.

«La storia della scoperta dell’America? È una clamorosa operazione di marketing e disinformazione. Di marketing a favore dei Re di Spagna Isabella e Ferdinando. Di disinformazione verso Cristoforo Colombo e Innocenzo VIII, il papa ‘desaparecido’». Parla Ruggero Marino, 63 anni, ex‑redattore capo del quotidiano "Il Tempo" di Roma, da undici anni infaticabile riabilitatore della memoria dello scopritore dell’America e di colei che ne fu "sponsor": la Chiesa di Roma. E’ stato Marino, vari anni prima dell’altro storico romano Renato Biagioli, ad aprire un capitolo mai scritto della storia del mondo. Inviato speciale, ha visitato cinquanta Paesi, ha scritto libri per l’Unicef e di poesia ed è stato invitato a parlare di Colombo dall’Istituto Italiano di Cultura di New York. «Il primo libro sul navigatore ho scritto nel 1991. Era intitolato “Cristoforo Colombo e il papa tradito” vinse il Premio Scanno e fu un best‑seller, tre edizioni in un anno. Portò per la prima volta alla luce ciò che per cinque secoli era stato taciuto».

E cioè?
«L’intervento di papa Innocenzo VIII, della famiglia genovese Cybo, come “sponsor” della scoperta dell’America. Dopo l’uscita del libro proseguii le ricerche, che mi portarono a individuare, attraverso una serie di indizi, il vincolo di sangue fra Colombo e il papa, fino alla possibilità di un rapporto padre‑figlio».

Il suo lavoro vedeva la luce durante i preparativi per il cinquecentenario della scoperta dell’America.
«Esatto. Ed è facile immaginare quale fu la reazione. Una bomba agli occhi dei colombisti italiani, che fecero il possibile per impedire la diffusione del libro. Al terzo articolo della mia inchiesta sul "Tempo" mi telefonò H senatore Paolo Emilio Taviani, presidente della Commissione Colombiana e studioso mondiale, e mi disse che stavo colpendo nel segno».

In che senso?
«Il libro era anche la riscoperta di un pontefice cancellato dalla storia e che aveva finanziato la spedizione di Colombo, cosa che in precedenza non era mai stata scritta. Mi avvalevo anche dei Brevi di Pio IX e di una lettera enciclica di Leone X19I a favore di Colombo. Sia Pio IX nel 1860, sia Leone XIII nel 1892, in occasione del quadricentenario del 1492, tentarono inutilmente di farlo santo».

Il giallo della lapide in Vaticano sulla tomba di Innocenzo VIII non è mai stato risolto. Vi si legge che l’America venne scoperta durante quel pontificato. Ma com’è possibile, visto che Colombo partì il 3 agosto 1492 quando Innocenzo VIII era morto da una settimana?
«Un errore apparente, mi creda. Si tratta in realtà di uno dei più affascinanti misteri della storia. La famosa carta geografica di Piri Re’is dei 1513 riporta molta più America di quella fino ad allora scoperta, soprattutto del Sud. Nelle didascalie che accompagnano le illustrazioni si dice testualmente che “l’infedele Cristoforo Colombo scoprì queste coste nell’anno 890 della Hegira”. Cioè nel 1485, secondo la nostra numerazione. Come si vede, la carta di Piri Reis avvalora la lapide in Vaticano».

Lei intende dire che Colombo aveva scoperto l’America anni prima del 1492?
«Esattamente sette anni prima, appunto sotto il pontificato di Innocenzo VIII. Ma è assurdo continuare ad affermare un possibile primato sulla scoperta dell’America. Non sapremo mai chi è stato, se Colombo o altri. Resta il fatto che Colombo è stato l’ultimo, il definitivo, quello che ha cambiato la storia del mondo. Per cui la sua “scoperta” resta la più importante. Tanto più che la sua spedizione rientra in un quadro, che sto ricostruendo, molto complesso».

Perché?
«II Vaticano era a quei tempi teatro di uno scontro tra “falchi” e “colombe”. E i “falchi” prevalsero, a cominciare dai Borgia, mentre le colombe, Colombo compreso, furono sconfitte. Cristoforo Colombo è un perfetto nome d’arte. La storia della scoperta dell’America e del suo perso­naggio, famiglia compresa, è tutta da riscrivere».

Quando ha scritto su Cristoforo Colombo figlio di papa Innocenzo VIII?
«Nel 1997, quando uscì la quarta edizione aggiornata di "Cristoforo Colombo il papa tradito", con presentazione di Franco Cardini».

Renato Biagioli ha appena scritto al rettore Rober­to Schmid e al genetista Carlo Alberto Redi invitan­doli a riaprire il capitolo Colombo, con un’analisi del Dna delle ceneri conserva­te nella teca alla Biblioteca Universitaria.
«Nei suoi scritti, costui non aggiunge proprio nulla di nuovo rispetto a quanto ho scritto io vari anni prima, tranne una cosa: l’identificazione di una possibile madre di Colombo, che scaturirebbe dalle intuizioni di un veggente».

Redi si dichiara pronto a fare l’analisi genetica sui presunti resti di Colombo.
«Ben venga l’analisi del Dna antico, se porta a risultati attendibili e definitivi. To­glierebbe molti dubbi su chi era veramente Cristoforo Colombo, cancellando il fumetto d’antiquariato che la storia tramanda. Esistono va rie tombe della famiglia Cybo: il padre di Giovanni Battista Cybo, Aronne, è sepolto a Capua. Molti dei discendenti furono seppelliti a Massa Carrara. Per me, Colombo è un grande scienziato, un uomo di una profonda cultura. Apparteneva sicuramente ad un ordine cavalleresco ed è stato certamente il più cristiano di quelli che sono andati in America. Anche sulle questìoni dello schiavismo e del genocidio degli Indios, tutti fatti che non Possono essere imputati a Colombo».

La direttrice della Biblioteca Universitaria, Anna Maria Campanini Stella, sollecita l’Università di Granada a dire ciò che sa sull’origine dello scopritore dell’America.
«Non so dove Colombo sia nato, ma sicuramente è italiano. Un grande italiano, dal cui il presente avrebbe molto da imparare. Così come un grande papa fu papa Cybo, che è massacrato dalla storia. Se collochiamo Colombo in Spagna e lo accettiamo come una specie di "vu cumprà" non lo capiremo mai. Se invece lo riportiamo in Italia, nell’ambito del Rinascimento e in un’operazione che fa capo alla Chiesa di Roma, Colombo si può decifrare molto più facilmente».

v. La Provincia Pavese, 23, 27, 28 e 31 dicembre 2003.

Pubblicato 31/03/2008 16:50:11