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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Cynthia Haven

L'IMPORTANZA DEI COLORI NELL'ARTE ANTICA


Con l’attenzione silenziosa d’un medico, Ivy Nguyen passa le mani sulla figura giacente d’una bianca signora, nell’oscuro laboratorio, impugnano una lampada a luce nera. Sulla statua di marmo ricompaiono vivi i colori di duemila anni fa.

Il gruppo di lavoro di Nguyen ha usato una tecnologia sperimentale 3D a effetto rapido per creare repliche delle opere d’arte, con i colori che le sculture dovevano avere anticamente.

I risultati ottenuti da Nguyen sono esposti nella mostra “True Colours: Rediscovering Pigments on Greco-Roman Marble Sculpture” presso Cantor, Stanford University.

Normalmente si pensa alle antiche opere greche e romane come oggetti di marmo bianco risplendenti nel sole mediterraneo. L’esposizione mostra invece opere in technicolor. La signora colorata di Stanford può non piacere, a prima vista, ma la prima impressione può anche cambiare. “E’ molto diversa – a qualcuno appare troppo sgargiante” ammette Nguyen, ma confessa che si ì abituata alla nuova immagine.

Ivy Nguyen mostra come ha lavorato con una luce nera per identificare le aree della scultura che conservavano tracce di colorazione. Credit L.A. Cicero

Abbiamo sempre saputo che le antiche statue erano dipinte: il Metropolitan Museum of Art possiede un vaso, circa del 360-350 a.C., in cui appare un uomo che dipinge una statua di Herakles. Le tracce più importantu appaiono sulle stesse statue – tracce di pittura che non sono state dilavate e si sono conservate nei pori e nelle fessure del marmo.

Purtroppo le tracce possono dirci che le statue erano dipinte, ma non offrono una reale idea di come esse apparissero in origine. Nguyen pens che le sculture avessero diversi strati di pittura, per ottenere effetti più sfumati, ma, poiché gli strati superficiali sono stati asportati per primi, si sono conservate sul marmo solamente le tracce delle pitture di base.

Come potremmo scoprire le pitture invisibili, i “veri colori”, scomparsi nel tempo? Nguyen, esperta di ingegneria chimica, ha una sua idea.

Nguyen ha seguito nella scorsa primavere un corso “Arte, Chimica e Follia: La scienza dei materiali nell’arte”, tenuto dall’ingegnere chimico Professor Curtis Frank con sua moglie, l’artista Sara Loesch Frank.

Il corso è uno dei “seminari sophomori” della Facoltà di Stanford, un’occasione per esplorare i confini tra le discipline e per sperimentare aree di conoscenza al di fuori del comune.

Il corso è stato ispirato dalla sperimentazione di Loesch Frank col materiale artistico – e lei ha chiesto al marito di aiutarla a spiegare i cambiamenti di colore, le scrostature e i deterioramenti. “Visto che la mia area di ricerca è la scienza dei materiali con enfasi sulle proprietà interfacciali dei polimeri, sono rimasto intrigato dalle sue domande, e insieme abbiamo istituito il corso per cercare di coordinare le nostre esperienze collettiva e di scambiarle con altri”, ha detto Frank.

Per Nguyen, è stata una rivelazione: “Prima, le arti e gli aspetti della conoscenza umanistica mi avevano sempre intimorita”, ha detto la sophomora scientifica. “Il corso mi ha mostrato invece che esistono altri modi di accostarsi ad esse – oltre il modo di sentire comunemente adottato. La scienza può offrirci una comprensione più profonda dell’arte”.

Nguyen ha proposto una mostra alla commissione del Cantor Arts Center, e ha vinto. Susan Roberts-Manganelli, manager delle raccolte, delle mostre e della conservazione a Cantor, è diventata una collega e un membro di direzione del gruppo di lavoro sulla statua Greco-Romana e ha collaborato alla pianificazione della mostra (Roberts-Manganelli proveniva dalla direzione opposta rispetto a Nguyen: è un’artista che ha scoperto i miracoli della conservazione, viaggiando in Europa).

Per la mostra, Nguyen ha sperimentato tecniche che permettessero di trovare i colori che non si possono vedere a occhio nudo – tracce d’elementi, come piombo e oro, che non appartengono al marmo. La luce ultravioletta rende fluorescenti le particelle di pigmento, aiutando a scoprire quali parti erano dipinte.

marble. La tecnica non è nuova, ma Nguyen si è spinta oltre, con l’uso della fluorescenza ai raggi X (XRF), di uso corrente nelle scienze della conservazione. La XRF può identificare tracce di pigmenti invisibili all’occhio umano.

Le immagini all’ultravioletto ottenute da Nguyen con la luce nera rivelano “immagini fantasma”, che identificano le aree da studiare. L’uso della XRF rivela che cosa c’era in quelle aree.

La mostra stabilisce una simbiosi tra la scienza e l’arte, accompagnando il visitatore attraverso l’esperienza del laboratorio che rivela i pigmenti usati nei tempi antichi, con grandi immagini che mostrano le analisi e piccole terracotte dipinte, dalla collezione di Cantor, usate per controllare i risultati dello studio.

La mostra include esempi degli antichi pigmenti minerali – gesso per fare il bianco, goetite per la tinta gialla dell’ocra, ematite per la tinta dell’ocra rossa, rame per il pigmento conosciuto come blu egiziano e foglia d’oro – insieme alle foto prese durante le analisi scientifiche.

La mostra focalizza poi la signora dipinta: due copie di resina poliuretanica ad alta densità della Maenad di Stanford (4 a.C. – 25 d.C.), trovata in un pozzo della Samaria e risalente alla dinastia di Erode.

Una delle due riproduzioni è dipinta con i colori ritrovati durante le analisi, la seconda è ricoperta con i colori e le velature aggiuntivi, identificati e supposti.

La donna samaritana completamente colorata indossa un manto rosso su una tunica color ocra. La figura è priva di testa, ma i capelli scuri le ricadono sulle splle. Sulla spalla destra, ha una pelle di leopardo. Col colore, ella appare chiaramente come una seguace dei culti dionisiaci, invece della nobile figura di matrona marmorea, familiare ai visitatori del museo di Stanford.

Nguyen pensa che “il fatto di accostare la ricostruzione dipinta alla statua originale renderà migliore la comprensione dell’originale stesso”.

Tutte le statue erano dipinte? “E’ difficile ricostruire che cosa si facesse realmente, 2000 anni fa”, dice Nguyen. “Ma sappiamo che molte erano certamente dipinte”.

Possono sembrare troppo sgargianti – ma “I greci capivano che, senza lo splendore del colore, le staute erano come nude, e perciò non erano abbastanza belle”.

“La mia vita e la mia fortuna sono mostruosità... ba causa della mia bellezza”, si lamentava Elena di Troia nella tragedia di Euripide. “Se solo potessi nascondere la mia bellezza e apparire brutta – come se si togliessero i colori ad una statua...”

Il Cantor Arts Center è aperto dal merc. alla domenica dalle 11 alle 17, il giovedì sino alle 20. Per informazioni, tel. (650) 723-4177.

La mostra sarà aperta sino al 7 agosto del 2011 – ingresso libero.

Fonte: http://www.pasthorizons.com/index.php/archives/03/2011/how-the-ancient-world-used-colour

Pubblicato 23/03/2011 06:31:33