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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Alessandro Campari

PERIZIA SULLA CUPOLA DEL DUOMO DI PAVIA

1885 - 1897

Illustrissimo Signor Prefetto Presidente della Conunissione Provinciale Conservatrice dei Monumenti, PAVIA

Premessa

La questione che si agita da qualche tempo tra la Fabbriceria della Cattedrale e le Commissioni nominate dai Ministeri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici. circa le lesioni manifestatesi sulla cupola del nostro maggior tempio, questione sulla quale venni dalI’Ill.ma S. V. invitato a riferire, fu in questi giorni messa in maggior evidenza dall’Ufficio del Genio Civile e più ancora dalla Fabbriceria con tanta copia di notizie e di sottili argomentazioni, da rendere di secondaria importanza e direi quasi insignificante il voto richiesto alla nostra Commissione, le cui attribuzioni, singolarmente limitate a questioni d’arte, non le permettono di invadere con sicura coscienza e piena cognizione di causa il campo astruso della architettura statica e della scienza delle costruzioni, alle quali esclusivamente si riferiscono le discussioni odierne.

Dalle due relazioni che la S. V. Ill.ma ebbe cura di comunicarci in copia, una delle quali predisposta dal Genio Civile, l’altra da una speciale Commissione tecnica eletta dalla Fabbriceria, emerge indiscutibile il fatto delle lamentate lesioni, del progrediente loro allargamento e conseguentemente della necessità di urgenti ed efficaci rimedi; sulla natura ed importanza di tali lesioni, sulle cause dirette che le hanno provocate e finalmente sul modo di provvedere, gli egregi tecnici chiamati a pronunciarsi, dissentono invece essenzialmente, come risulta dalle considerazioni da essi svolte e dalle proposte, colle quali conclusero le relazioni rispettivamente presentate. L’argomento d’altronde non è nuovo e le cause che lo promossero rimontano all’epoca in cui venne costruita la grandiosa cupola, i cui lavori furono progettati e diretti dall’architetto Cav. Carlo Maciachini. E siccome dell’argomento stesso io ebbi ad occuparmi sino dall’anno 1885 e su di esso ho avuta anche occasione di riferire alla S.V. con mio rapporto del 15 luglio 1894, io non posso oggi che riconfermare i giudizi espressi in quella occasione, e che, a circostanze immutate, qui succintamente ripeto, nella speranza che la S.V. Ill.ma e gli egregi colleghi della nostra Commissione vogliano confortare col loro voto le considerazioni, che subordinatamente mi permetto di svolgere, le quali, dichiaro sin da principio, sono in massima conformi a quelle manifestate, con molta competenza dl giudizio, dagli egregi tecnici chiamati dalla Fabbriceria a pronunciarsi sull’arduo ed importante argomento.

La costruzione della cupola, 1884-1885.

Le prime fessure e i primi interventi

Nell’ottobre dell’anno 1885, allora quando fui chiamato, in concorso col compianto Comm. Camillo Brambilla, ad emettere esplicite dichiarazioni sull’andamento dei lavori, che si stavano compiendo in questa Cattedrale, per costruzione della grandiosa cupola, onde la Fabbriceria potesse conseguire la terza rata di sussidio governativo coi dispacci 22 Marzo 1883 e 31 gennaio 1884, si trovò doveroso e necessario assumere informazioni e praticare alcune indagini sulle cause che avevano provocato i noti guasti alla cupola, che fin d’allora non avevano mancato di impressionare vivamente la cittadinanza, la quale, ignara affatto della natura ed importanza dei guasti stessi, era inclinata ad esagerare le conseguenze.

Nelle ispezioni allora praticate si constatò infatti che, in seguito alla costruzione del cupolino e dopo che furono completamente levate le armature, si aumentarono sensibilmente le fessure già esistenti ed altre nuove se ne crearono, in corrispondenza ai parapetti ed agli archivolti della vecchia galleria del tempio, ove prima d’allora si riscontravano spezzate le copertine dei parapetti stessi, nonché alcune pietre granitiche, fra quelle che costituiscono le spalle di sopporto degli archetti. Si rilevò pure, in quella occasione, la rottura di due unghie di congiunzione fra due spranghe di ferro, che costituiscono il secondo ordine di legamento, disposto sul dorso delle nervature secondarie della cupola. E finalmente furono rilevate due sensibili fessure verificatesi nel senso delle generatrici del volto e precisamente nei segmenti di cupola corrispondenti ai lati minori dell’ottagono, in angolo sud-est e sud-ovest del tempio. Senza dare allora soverchia importanza a questi fatti, che si ritennero in parte conseguenza naturale e necessaria del generale assestamento del nuovo edificio, venne nondimeno riconosciuto che i guasti manifestatisi dovessero reclamare pronti rimedi, onde impedire danni maggiori.

Fu quindi lodevole provvedimento, se non essenziale importante, quello di rinforzare con robuste spranghe e chiavarde le congiunzioni del secondo ordine di legamento, disposto poco opportunamente nelle nervature secondarie della cupola onde impedire ulteriori rallentamenti delle congiunzioni stesse, prodotti specialmente dalla scadente qualità della materia impiegata. E fu pure savio ed importante provvedimento quello di aggiungere, dopo il disarmo della cupola, un terzo ordine di chiavi, superiore ai due già applicati, e disposto secondo i lati dell’ottagono, avente i vertici in corrispondenza alle nervature principali. L’azione di questo legamento, posto in corrispondenza alla radice della copertura in piombo, era senza dubbio efficacissimo e lo sarebbe stato di più, se invece di adottare la sezione di mm 70 per 23 nelle spranghe del legamento impiegato, se ne fosse adottata una maggiore, in conformità alle prescrizioni allora impartite, le quali quando fossero state scrupolosamente osservate, non si sarebbe forse verificata la rottura di quel legamento ora lamentata e si sarebbero impedite le conseguenti maggiori disaggregazioni. L’azione più o meno efficace dei propositi legamenti doveva paralizzare come fin d’allora si è detto lo squilibrio delle spinte, cagionato dalla forma dell’ottagono a lati disuguali ed irregolari. A tale squilibrio appunto si ritenne in parte di attribuire le fenditure manifestatesi nei segmenti di calotta interposti alle nervature principali, senza omettere di dare importanza anche al fatto della diversa misura di assestamento del materiale impiegato nei costoloni o nervature, le quali sono di rilevante spessore e negli spicchi della volta, a cui fu dato invece lo spessore di soli cent. 25, senza curare il collegamento di questi coi costoloni; per cui è ben difficile si possano evitare discontinuità più o meno sensibili di superfici, per diversa misura di naturale cedimento. I fatti qui accennati e le considerazioni fin d’allora svolte furono pienamente confermati nella relazione degli egregi Commissari tecnici eletti dalla Fabbriceria, i quali, constatando la natura ed importanza delle lesioni, rilevarono in pari tempo la insufficienza dei legamenti in ferro applicati a ritegno della spinta della cupola.

A confronto con altre cupole

Nel riferire sulle accennate condizioni di fatto, che rimontano ad undici anni or sono, trascorsi senza che in questo intervallo di tempo si provvedesse a più efficaci rimedii, onde impedire il previsto progredire dei danni si trovò opportuno di aggiungere che il fenomeno costatato non era affatto nuovo; e si citava a tale proposito la cupola di Sant’Antonio e quella dei Carmelitani in Padova; l’altra di Santa Maria del Fiore in Firenze ultimata nell’anno 1434; il Duomo di Montefiascone e la cupola di San Marco in Venezia, la quale nell’anno 1523, ridotta a mal partito per importanti fenditure manifestatesi, venne stretta da legamenti in ferro sopra progetto dell’architetto Jacopo Sansovino, i quali hanno impedito guasti, che per questo monumento e per gli altri qui ricordati si erano resi manifesti sino dalla loro origine. La stessa cupola di San Pietro in Vaticano, quantunque a base circolare e sostenuta da sedici robusti costoloni, segnalò guasti importanti, che rimontano ai tempi di Donato Lazzari, detto il Bramante, e che furono riparati dopo la di lui morte avvenuta nel 1514, per consiglio di fra Giocondo, di Raffaele e di Giuliano. I rimedi allora applicati, forse poco opportunamente od insufficienti, non impedirono il progredire delle fenditure, che andarono aumentando sino al 1680, vivendo Lorenzo Bernini e successivamente sino al 1735, quando si trovò opportuno di aggiungere altri collegamenti alla cupola, onde arrestare, secondo il parere degli architetti di quell’epoca, il temuto progressivo allargarsi delle screpolature, delle quali attualmente sembra che nessuno più si preoccupi. E a dir vero tali preoccupazioni non erano destituite di fondamento in confronto a quelle che oggi ci riguardano: giacché, come ebbi già occasione di riferire prima d’ora, per notizie attinte da una minuta relazione dell’architetto Poleni, edita a Padova nel marzo del 1743, si rilevarono poco prima di quell’epoca, nella Basilica di S. Pietro in Roma, sedici spaccature nelle soglie, negli architravi, nei fregi e nelle cornici corrispondenti ai finestroni del tamburo; quindici fessure nel basamento e nello zoccolo del tamburo stesso; ventitre screpolature nell’attico esterno, senza contare le moltissime altre che si resero manifeste nei costoloni della cupola e nelle altre membrature principali e secondarie di essa.

Tutto ciò si è trovato opportuno di ricordare nella relazione del 1885, onde conchiudere che i guasti manifestatisi nella cupola della Cattedrale nostra sono insignificanti in confronto a quelli che si manifestarono né per altri grandiosi ed importantissimi edifici. I rimedi adottati per essi, con soddisfacente risultato, sono di identica natura a quelli prima d’ora insufficientemente impiegati per la cupola della nostra Cattedrale e che oggi tendono a rendersi radicalmente efficaci coll’impiego dei quattro nuovi legamenti applicati a cura e spesa della Fabbriceria della Cattedrale, i quali rappresentano insieme una sezione tripla di quella dei legamenti attualmente in opera; come venne determinato da opportuni calcoli istituiti.

Le cause delle lesioni

Dalle considerazioni qui succintamente espresse, e che acquistano maggior valore dai più diligenti studi intrapresi dalla Commissione tecnica eletta dalla Fabbriceria, emerge evidentemente che le lesioni subite dalla cupola debbonsi ritenere come effetto in parte della irregolare costruzione di essa ed in parte della spinta prodotta dalla conformazione della cupola stessa; spinta che in mancanza di contrasti murari deve essere paralizzata con potenti legature, quali si vanno a quest’ora impiegando. Ammessa l’opportunità di tale provvedimento, che fu adottato, seguendo i dettami della sullodata Commissione, si rende implicitamente manifesta l’inopportunità di procedere alla esecuzione dei pozzi di assaggio attorno ai piloni, onde accertare le cause delle lesioni verificatesi nella cupola: provvedimento affatto inutile e dannoso per le ragioni evidenti riportate nella più volte menzionata relazione della Commissione tecnica eletta dalla Fabbriceria, alle quali io propongo che la Commissione nostra debba interamente associarsi.

Gli scandagli ordinati dal Ministero della pubblica istruzione d’accordo col Ministero dei lavori pubblici giusta la risultanze della relazione della Commissione governativa avrebbero potuto tentarsi, quantunque con poco profitto, quando non si fossero rese manifeste altre cause più dirette ed evidenti delle lamentate lesioni, quali sono la insufficienza dei legamenti e la rottura della chiave superiore che è di capitale importanza; cause queste che non avrebbero dovuto sfuggire alle Commissioni che molto prima d’ora, e cioè sino all’Aprile 1893, hanno visitata la cupola e potevano essere da esse segnalate, prima che il pubblico, colla sua insistente voce, come è detto nel rapporto dell’Ufficio del Genio Civile, provocasse la necessità di più oculate investigazioni. Le risultanze appunto di queste ed i dati altimetrici ora esibiti dai tecnici escludono quasi in modo assoluto che le lesioni constatate debbano attribuirsi a cedimento delle fondazioni.

Le scaglie che si staccano dal rivestimento in marmo, le fenditure tangenti ed ortogonali ad esso mostrano ad evidenza che i piloni, anziché assecondare il movimento di depressione dei fondamenti, vengono sgretolati nella superficie, compressi tra l’eccessivo peso sovrastante e la irremovibile resistenza del sottosuolo. Tale concetto è confortato dal fatto abbastanza importante, da me constatato in questi giorni, e cioè che, in misura insignificante, gli spigoli del pilone più degli altri compromesso, e per nulla affatto la faccia esterna del lato sud-ovest dell’ottagono, che vi corrisponde, hanno rispettivamente deviato dalla perfetta verticalità. Un’altra circostanza che può avere influenza sul deperimento del pilone sudovest e del contiguo a sud e che poté forse concorrere, anche in minima parte, a determinare, all’epoca del disarmo della cupola, gli sgretolamenti per compressione dei rivestimenti in marmo, è la giacitura eccentrica del cupolino, il quale, come ho potuto constatare in questi giorni con diligenti misure, trovasi per difetto originario di costruzione, spostato di cm 27 dal centro, misurati in meno sul raggio verso l’angolo sud-ovest.

Paragone con Milano

L’Illustre architetto Comm. Luca Beltrami, membro corrispondente onorario del Reale Istituto degli Architetti in Londra, ha trasmesso al Presidente di quell’importante sodalizio, sin dall’anno 1892, le risultanze di alcune diligenti indagini da lui fatte, colla autorizzazione del Ministero della Pubblica Istruzione sui piloni centrali del Duomo di Milano, allo scopo di accertare come fossero i medesimi costrutti, quali fossero le cause del loro deperimento e quali rimedi più opportuni potevano essere suggeriti per ristaurarli in modo conveniente. Dalla memoria in quell’anno pubblicata a Londra, e che io ebbi occasione di vedere in questi giorni, è messo in evidenza il modo con cui sono formati i piloni di quell’inprofonde trapanature traversali (sic), alcune delle quali si internarono sino alla profondità di novantasette centimetri, attraversando il rivestimento fatto con blocchi di marmo di Candoglia, per raggiungere il nucleo centrale formato con blocchi di Serizzo. Ben’inteso che gli scandagli fatti in diversi punti ed a diversi piloni dimostrarono ad evidenza che la costruzione non era per tutti regolare, variando lo spessore del rivestimento dagli indicati novantasette centimetri sino ai ventotto. I due diversi materiali impiegati, essendo stati considerati egualmente resistenti dai costruttori del medio evo, la Commissione ministeriale presieduta dal Comm. Beltrami, incaricata dagli scandagli, ritenne opportuno investigare, a mezzo di accurati esperimenti, la attuale,resistenza della pressione; che fu constatata, pel marmo, in chilogr. 5,121 per ogni millimetro quadrato, sino a provocare le prime screpolature, ed in chilogr. 6,898 per raggiungere il secondo stadio, ossia la disgregazione generale. Dalli stessi esperimenti emerse che la resistenza media della pietra Serizzo raggiunge circa i (54/55) di quella del marmo. Essendo la superficie della sezione orizzontale di ogni pilone centrale di M2 25,749 la pressione necessaria a sgretolare quei materiali dovrebbe essere da 29,788565 a 38,960975 chilogr.

Il masso attualmente sovrastante a ciascun pilone fu accertato in m3 4924 di materiale misto, il cui peso medio specifico è di chilogr. 2650, il che corrisponde ad un peso totale di chilogrammi 3.262.150 per ogni pilone centrale, che è quanto dire chilogrammi 54,74 per cent. quad. Il carico di sicurezza ammesso in pratica pel marmo essendo di chilogr. 25, ne consegue ad evidenza che i piloni centrali del Duomo di Milano trovansi, fuori di misura, sovracaricati. Dopo aver per tal modo accertata la resistenza dei piloni centrali, come pure quella delle colonne minori, I’architetto Beltrami trovò opportuno studiare le cause del loro deperimento. Ed analizzando con molta diligenza la natura e costituzione dei marmi e delle pietre impiegate nei piloni, alla superficie dei piloni, trova, con sicuro ragionamento, di attribuire le prime fratture alla ineguaglianza ed alle casuali imperfezioni delle superfici di contatto orizzontale; le altre ad ossidazione delle chiavelle di ferro usate in origine per collegare al nucleo centrale i blocchi che costituiscono il rivestimento dei piloni. E per tali ragioni l’architetto Beltrami continua a dire che tali fratture e screpolature non devono tuttavia considerarsi pericolose, specialmente quando devono queste attribuirsi al sistema seguito nelle modalità secondarie di costruzione, le quali non devono dar pretesto a radicali riforme nell’impianto originario. Importanza minore poi egli attribuisce alle sgretolature tangenti ed alle schegge staccatesi dalle modanature di rivestimento, che egli giustamente attribuisce alla trasmissione della pressione da corso a corso, ed al concentramento della pressione sul perimetro dei piloni, in conseguenza del naturale condensarsi degli strati di calce, e interposti ai blocchi di rivestimento; la cui struttura spatica spiega la particolare natura delle fenditure. L’architetto Beltrami conclude col dire che soltanto le fratture maggiori, ossia quelle che alterano la figura architettonica della costruzione, devono essere riparate, lasciando intatte le minori, come testimonio della originaria struttura, che fu causa diretta dei guasti lamentati. Ma non pensa nemmeno per sogno che si debbano aprire pozzi lateralmente ai piloni, per constatare a quale profondità siano state spinte le fondazioni, quale sia la compagine loro e di quale natura possa essere il sottosuolo destinato a sopportarle.

Le indagini fatte pei piloni del Duomo di Milano, le considerazioni per essi svolte e le conclusioni a cui credette di addivenire la Commissione tecnica ministeriale, presieduta dall’Illustre Architetto Beltrami, potrebbero, con molta verosimiglianza, attagliarsi ai piloni centrali della nostra Cattedrale. La costituzione o modo di formazione di essi secondo le dichiarazioni emesse dagli architetti Antonelli e Terzaghi, ben di poco dovrebbe scostarsi da quella constatata per i piloni del Duomo di Milano, potendo benissimo il nucleo di granito e la pietra di Ornavasso o di Creola che entrano a costituire i piloni stessi, pareggiare in resistenza il Serizzo ed il marmo di Candoglia impiegati nei piloni del Duomo di Milano.

Non c’è pericolo

I sullodati architetti Professor Alessandro Antonelli ed Enrico Terzaghi, nelle loro relazioni rispettivamente presentate in data 21 ottobre e 12 novembre 1881, rispondendo categoricamente ad un preciso quesito formulato dalla Commissione della fabbrica presieduta da Mons. Vescovo Riboldi, diedero le più chiare ed esplicite assicurazioni sulla attitudine dei piloni del Duomo a sopportare il peso della doppia cupola e del cupolino, che si stavano per costruire.

In quelle relazioni contenenti importanti notizie ed assennate considerazioni sulla struttura del nostro Duomo, è fatta la descrizione degli scandagli praticati alle fondazioni dei piloni, a metri tre sotto il piano del pavimento “per riconoscere la muratura sotto la base ampia dei piloni composta di buoni mattoni e cemento pur buono, la cui resistenza allo scalpello supera quella degli stessi marmi e lasciando una risega di Cent. cinquantasette all’ingiro”.

E dopo aver descritto anche gli scandagli fatti trasversalmente ai piloni per constatare la loro costruzione interamente di blocchi di granito con rivestimento di marmo di Creola, i sullodati architetti asseriscono che: “gli otto piloni maggiori presentano amplissima base perché rinforzati e si direbbe quasi speronati dagli otto piloni minori sorreggenti le navi della chiesa e che sono ai primi innestati; per cui soli sono atti a reggere una doppia cupola laterizia”.

Che “la buona muratura laterizia del fondamento scoperto, la qualità del marmo che riveste il nucleo granitico dei piloni, la buona lavorazione dei piani di posa dei giunti, nonché l’eccellente cemento colato negli interstizi, (trovato in stato di pietrificazione) formano dei pilastri tanti fulcri solidissimi da rassicurare lu fede di qualunque costruttore anche poco ardito, massime riflettendo che l’area degli otto piloni confrontata con l’area racchiusa da essi supera la parte occupata in altre combinazioni di cupole sostenute da solo quattro piloni, come il Duomo di Milano e la Chiesa di Sant’Andrea in Vercelli per tacere di tante altre”.

Essendo la superficie della sezione orizzontale di ogni pilone centrale del nostro Duomo di m2 9,100 ed essendo constato che il carico addossato ad ogni pilone centrale corrisponde ad 1,825,00 chilogr. come risulta dalle calcolazioni. riassunte, nei prospetti qui allegati ne consegue che il carico addossato ad ogni centimetro quadrato è di chilogr. 20.05, ossia meno della metà di quello addossato ai piloni della Cattedrale di Milano. Ammettendo pure che la struttura di quei piloni sia più regolare che non quella dei nostri ad essi posteriori, che i blocchi interni del nucleo impiegati pei nostri piloni non siano stati adagiati l’uno sull’altro con quella regolarità che si può presumere, ma non si può accertare, pei piloni di Milano; che ancora fra masso e masso del nucleo siano interposti cordoli più o meno sottili di calce o di muratura e che per conseguenza i! carico di sicurezza ammesso pei piloni di Milano in chilogr. 0,25 per millimetro quadrato debba ridursi a circa la metà pei piloni del Duomo di Pavia, potremo sempre dire che le condizioni nostre saranno sempre migliori di quelle constatate pel colossale edificio di Milano, inutile quindi escogitare provvedimenti diversi da quelli che, per identici fenomeni, furono per quell’insigne tempio proposti con tanta competenza di giudizio.

Proposte e suggerimenti

Gli egregi tecnici delegati dalla Fabbriceria, nel chiudere la loro relazione, hanno espresse prudenti riserve sulla efficacia dei provvedimenti proposti e sulla eventualità di ulteriori lesioni ai piloni, sia per cedimento del sottosuolo di fondazione che per schiacciamento della muratura, i quali potrebbero provocare nuove lesioni nella cupola. È prudenziale l’avviso espresso dai tecnici sullodati, diretto a stabilire che anche posteriormente ai provvedimenti ora adottati, vengano continuate diligenti osservazioni, allo scopo specialmente di constatare l’eventualità di ulteriori alterazioni nella cupola e nei piloni; ma io ho ragione di credere che nessun provvedimento radicale si potrà studiare all’infuori del sistema di legature, che venne ora proposto ed adottato, la cui disposizione è messa in evidenza dal qui unito abbozzo.

Soltanto tale sistema di legamenti può paralizzare la spinta della cupola e non certamente la resistenza delle navate laterali, le quali soggiacciono di m 13,400 dal cornicione di imposta. Meno ancora potrebbero prestare il benché minimo aiuto alla eliminazione della spinta le volute esterne, che pur si ravvisano nel modello in legno del Rocchi, le quali pur elevandosi al disopra del livello dei tetti delle navate laterali, distano sempre colla loro sommità, oltre a m 6 dalla zona di massima spinta della cupola e dimostrano quindi ad evidenza di non aver altro ufficio che quello di mascherare e rendere meno difettosa la enorme altezza del tamburo.

Per le considerazioni di incompetenza fin da principio espresse, la S.V. Illus.ma rileverà di leggeri come i ragionamenti da me formulati. sull’importante argomento di che trattasi non hanno prerogativa alcuna di originalità: essi non fanno che passare in rassegna avvenimenti notori, che hanno diretta relazione con quelli che ci riguardano e riportare giudizi emessi prima d’ora da preclari tecnici, in confronto alla cui notoria competenza, perde affatto di valore ogni mio criterio. Ma è appunto dall’esame dei fenomeni manifestatisi dallo studio delle indagini, che altri hanno saputo approfondire e dei provvedimenti, che in relazione ad esse furono escogitati, che scaturisce necessariamente la sintesi di quelle considerazioni pratiche, che devono guidarci nei nostri giudizi. E siccome a questi fenomeni ed alle conseguenti indagini si attaglia il caso nostro, parmi che nulla di meglio ci resti che seguire razionalmente la via da altri tracciata nel suggerire i rimedi.

Sulla opportunità o meno di tener chiuso il tempio, anche nei giorni festivi, durante i lavori che in esso si stanno compiendo, la quale ha dato luogo a tante sterili polemiche per parte dei giornali cittadini ed a poco benevoli apprezzamenti per fatto della Autorità ecclesiastica, non parmi il caso che la Commissione nostra debba pronunziarsi.

L’ordine impartito della S. V., dietro proposta del Genio Civile, diretto a tutelare la pubblica incolumità, allora quando si trattava di intraprendere e condurre a compimento le importanti opere di consolidamento della cupola, si rende tanto più pratico e razionale oggi, in cui provvedendosi al rivestimento interno del muro di fronte ed alla nuova tinteggiatura dell’intradosso della cupola stessa, tornerebbe disagevole e sconveniente l’esercizio anche interpolato del culto, se non che pel manifesto proposito di soddisfare oziose ed inconsulte velleità, alle quali la Commissione nostra deve tenersi assolutamente estranea.

Pavia 12 Agosto 1897

Ing. Alessandro Campari

Da "Il Ticino", 30 marzo 1991, sotto il titolo: "La cupola della Cattedrale e le sue condizioni statiche".

Pubblicato 21/08/2008 13:18:58