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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Alberto Magnani

LE REGINE LONGOBARDE A PAVIA

Alle radici della regalità femminile nell'Alto Medioevo

Le seguenti note intendono proseguire e approfondire la questione posta in un precedente lavoro, come, cioè, il concetto della regalità femminile, affermatosi nell’Oriente cristiano in continuità con le premesse poste in epoca romana, si sia trasmesso all’Occidente romano-germanico. In questa sede verrà focalizzato il ruolo di mediazione svolto dalla monarchia longobarda nel quadro di tale processo.

Le regine longobarde sono figure poco conosciute 1. Le loro vite hanno lasciato scarse tracce nelle cronache storiche, non diversamente, del resto, da quanto è avvenuto alle mogli dei sovrani degli altri Regni romano-germanici. La loro condizione, infatti, era quella di consorte del re, soggetta, a volte, ai suoi capricci, priva di un ruolo definito sul piano formale, senza poteri specifici, né un particolare cerimoniale. La situazione delle regine longobarde, tuttavia, presenta alcune notevoli peculiarità. Non disponiamo di sufficienti elementi per dire se la società dei Longobardi avesse in sé caratteristiche tali da favorire gli sviluppi successivi. Di fatto, la cultura longobarda assimilò rapidamente il concetto della trasmissione del potere per via femminile, uno dei fondamenti della regalità delle donne. Ciò deriva verosimilmente da un influsso romano, recepito sin dall’epoca in cui i Longobardi erano stanziati in Pannonia. Procopio testimonia, per esempio, che, dopo il 540, la corte di Costantinopoli intervenne nella politica matrimoniale della monarchia longobarda 2.

Nel 567, dopo la vittoria sui Gepidi, Alboino sposò Rosmunda, figlia del loro re, ereditando così l’autorità regia. La stessa Rosmunda, quando ormai i Longobardi erano stanziati in Italia, rimasta vedova, sposò Elmichi e gli trasmise il potere. Il nuovo re, come è noto, non incontrò un consenso unanime e venne sostituito da Clefi 3. Tuttavia, è significativo il fatto che venisse messo in discussione il prescelto, non il procedimento in sé. Nel 590, Teodolinda, vedova di Autari, legittimò attraverso il matrimonio Agilulfo; e, nel 636, Gundeperga, vedova di Ariovaldo, fece lo stesso con Rotari.

Il primo dato che emerge, è che già nel momento del loro stanziamento in Italia i Longobardi si caratterizzarono per la funzione chiave svolta dalle loro regine nel momento della trasmissione del potere. Al consolidamento della pratica potrebbero aver contribuito i notabili romani che accettarono di collaborare con la monarchia longobarda. Essi ereditavano non solo le tradizioni romane, ma anche quelle gotiche, che avevano assimilato sia lo stesso concetto, sia la prassi della reggenza del potere da parte della madre, in caso di minore età dell’erede al trono. Reggenti furono, negli anni successivi, tanto Teodolinda, quanto Gundeperga.

La trasmissione del potere per via femminile si combinò con un altro fattore importante, la tendenza all’ereditarietà della dignità regia, che si sovrappose al criterio elettivo, esercitato dall’assemblea degli arimanni. Dalla fine del VI secolo all’inizio dell’VIII, la scelta del sovrano fu quasi sempre esercitata all’interno della cosiddetta “dinastia bavara”, in cui il rapporto di parentela con le regine fu determinante per la successione. Ad Agilulfo (591-616) successe Adaloaldo (616-626), il figlio avuto da Teodolinda. Deposto Adaloaldo, la corona passò ad Ariovaldo (626-636), che aveva sposato la figlia femmina di Agilulfo e Teodolinda, cioè Gundeperga. Quest’ultima, come s’è detto, elevò al potere Rotari (636-652). Estintasi la discendenza maschile di Rotari, la scelta cadde su Ariperto I (653-661), figlio del fratello di Teodolinda.

A partire da Ariovaldo, Pavia divenne stabilmente la capitale del Regno longobardo. La corte risiedeva nel Palazzo, risalente ai tempi di Teodorico, la cui funzione, quale centro di potere, crebbe rapidamente e diventò fondamentale4. Ciò favorì il ruolo delle regine, che, secondo la tradizione germanica, cu stodivano il tesoro regio e disponevano di ampi spazi di manovra entro le mura del Palazzo.

Gundeperga, moglie di Ariovaldo, fu dunque la prima regina a risiedere stabilmente a Pavia5. Importante è notare che, caduta in disgrazia per motivi politici, Gundeperga non fu estromessa, anzi, finì per essere reintegrata nel rango, segno di una stabilità delle regine longobarde, decisamente superiore a quella delle mogli dei re franchi.

Le regine senza nome

Le fonti sono molto avare di informazioni circa le regine successive: ciò che, qui, preme stabilire è se tale carenza derivi da una mancanza di importanza delle stesse. La moglie di Ariperto I (653- 661) è figura del tutto sconosciuta. Sappiamo solo che ebbe almeno due figli maschi, e una figlia. Alla morte di Ariperto, scoppiò una guerra civile (661-662), dai contorni non del tutto chiari, tra i due fratelli, Pertarito e Godeperto6. Quest’ultimo ricorse all’aiuto del duca di Benevento Grimoaldo, cui offrì in moglie la sorella. Grimoaldo si impadronì di Pavia, uccise Godeperto, costrinse Pertarito all’esilio e rimase padrone del Regno.

Godeperto aveva una moglie, che, dunque, dovrebbe esser stata, seppur per breve tempo, regina al suo fianco, ma anch’essa è sprofondata nell’oblìo. Ebbe almeno un figlio, che diventerà duca di Torino e rientrerà in scena a distanza di qualche decennio.

Quanto alla sorella di Pertarito e Godeperto, Paolo Diacono ne tace il nome. E’ però possibile, almeno, tentare di mettere assieme le notizie che si riescono a raggranellare sul suo conto e abbozzare la sua vicenda. Ne potremo concludere che, sebbene il suo nome sia stato dimenticato, questa donna non fu una regina di secondo piano, ma abbia occupato una posizione non dissimile da quella delle più note Gundeperga e Teodolinda.

All’epoca dei tragici eventi del 661-662, la sorella di Godeperto doveva essere molto giovane. Dopo aver sposato Grimoaldo, l’uomo, cioè, che le aveva ucciso un fratello e aveva esiliato l’altro, divenne regina: si confermò così la tradizione di continuità nella fede cattolica delle regine, a fianco di sovrani di tendenza ariana o non particolarmente caratterizzati in senso religioso7. Da Grimoaldo ebbe un figlio, Garipaldo, il cui nome apparteneva alla tradizione della dinastia bavara8: segno che Grimoaldo, di fatto usurpatore, cercava di legittimarsi il più possibile, e poteva farlo solo attraverso la moglie.

Alla morte di Grimoaldo, nel 671, presumibilmente assunse la reggenza in nome del piccolo Garipaldo, ma la tenne non più di tre mesi. Pertarito, il fratello superstite, rientrò infatti dall’esilio e recuperò il trono (671-688). Non risulta che la regina tentasse di ostacolarlo. È plausibile che sia lei la «nobile sorella» di Pertarito, che questi mise a capo di una comunità di monache «perché le governasse con amore di madre», in un cenobio da lui stesso fondato9. Paolo Diacono conferma la fondazione di un monastero da parte di Pertarito, «chiamato Nuovo, in onore della santa e vergine Agata» 10.

A questo punto, si inserisce la questione sollevata da un’iscrizione funebre, che ci permetterebbe di dare un nome a questa regina11. Si tratta dell’epigrafe che una badessa, Teodote, dedicò alla badessa che l’aveva preceduta, Teodote anch’essa di nome, «di ascendenza reale» (regali linea). Quest’ultima, dunque, potrebbe essere la nostra regina. L’epigrafe ci restituisce anche l’immagine di Teodote nell’esercizio della sua funzione di guida della comunità. Una badessa severa, dalla fronte corrugata, ma per il bene delle monache: «le istruì, le rimproverò, le corresse, le amò». E, inoltre, fu attiva nel promuovere opere edilizie in monastero.

Il problema deriva dal fatto che l’iscrizione non proviene da Sant’Agata, ma da un altro monastero, Santa Maria alla Pusterla, detto anche in Teodote.

Le due fondazioni sorgevano l’una presso l’altra e potrebbero aver costituito un unico complesso, ma di ciò non esistono prove certe.

Rodelinda, timoniera del Regno

La regina Rodelinda, moglie di Pertarito, è invece una figura dai tratti un po’ più definiti. Il suo matrimonio con il futuro re dovette avvenire ancora all’epoca di Ariperto I, in quanto, all’epoca della guerra civile successiva alla morte di questi, la coppia aveva già un figlio, Cuniperto e, forse, anche una figlia, Vigilinda.

Dall’epitaffio di Cuniperto, sappiamo che suo nonno (avus) materno, dunque il padre di Rodelinda, era stato re12. Ignoriamo però la sua identità. Poteva essere un sovrano straniero, oppure uno dei re precedenti, come Rotari13 o Arioaldo (non si può escludere nemmeno Adaloaldo). Se poi intendiamo il vocabolo nel significato più generico di “antenato”, le possibilità si ampliano ulteriormente 14.

Nel corso delle movimentate vicende del 661-662, Rodelinda cadde nelle mani di Grimoaldo insieme al figlioletto Cuniperto e, forse, della figlia. La famiglia venne relegata a Benevento, ove il figlio di Grimoaldo, Romualdo, aveva assunto il ducato. Nel 663, Rodelinda assistette alla guerra tra i longobardi del ducato e l’Imperatore Costante II, che era sbarcato in Italia da Costantinopoli, inseguendo un vano sogno di riconquista della penisola. Se fosse stata catturata, la regina sarebbe diventata una pedina nei giochi politici dell’Impero15. Romualdo, comunque, difese Benevento ed ebbe la meglio, grazie anche ai rinforzi guidati da Grimoaldo.

Non disponiamo di notizie circa la permanenza di Rodelinda a Benevento. La sua posizione, di fatto, era quella di ostaggio, ma probabilmente visse dignitosamente a corte, allevando il figlio. I futuri legami matrimoniali con la famiglia ducale suggeriscono rapporti positivi. Del resto, anche Teodorada, moglie di Romualdo, proveniva da esperienze difficili, in quanto suo padre era stato ucciso da Grimoaldo. Sia Rodelinda che Teodorada, inoltre, erano cattoliche e Rodelinda potrebbe aver contribuito all’attività in campo religioso della duchessa.

Al rientro di Pertarito in Italia, Romualdo non tentò di contrastarlo e lasciò che Rodelinda lo raggiungesse, dopo quasi un decennio di separazione. La regina, reintegrata nel rango, sempre secondo l’epitaffio di Cuniperto «tenne il timone del Regno». L’espressione sembra alludere a una funzione di reggenza, che, però, non risulta abbia mai esercitato. Una spiegazione si potrebbe trovare interpretando tali parole come riferimento a un ruolo attivo a fianco del marito: la regina aveva trascorso gli ultimi anni in un centro di potere ed era certo meglio informata di Pertarito, esule al di là delle Alpi, circa la situazione italica. Aggiungiamo che le fonti non tramandano di Pertarito l’immagine di un sovrano in possesso di grandi qualità politiche.

Tuttavia, Rodelinda avrebbe potuto esercitare una forma di reggenza, assumendo il controllo del palazzo reale all’epoca della prima rivolta del duca Alachi, quando Pertarito (certo assieme a Cuniperto) lasciò Pavia per assediare il ribelle a Trento16; e potrebbe aver affrontato con energia la tempesta politica provocata dalla notizia della sconfitta incassata dal marito nella campagna militare.

Rodelinda fu inoltre fondatrice della basilica di Santa Maria alle Pertiche, eretta fuori dalle mura di Pavia, presso il sito di un antico cimitero. Qui venivano piantati pali (le pertiche, appunto), sormontati da una colomba di legno, in memoria dei longobardi morti o in guerra o per qualsiasi altra ragione in terre lontane17. La fondazione aveva evidentemente l’intento di cristianizzare un luogo legato a tradizioni pagane, per cui l’iniziativa di Rodelinda si pone in sintonia con la politica religiosa portata avanti dalla dinastia a partire da Ariperto I.

Ermelinda, la moglie anglosassone

La regina successiva, Ermelinda (Eormenlind), moglie di Cuniperto (688700), non appare dotata di una personalità marcata come quella di Rodelinda. Ciò potrebbe derivare dalla sua provenienza da uno dei regni anglosassoni, da un ambiente, cioè, lontano dal contesto italico e longobardo. La data del suo matrimonio è incerta: sulla base di Paolo Diacono, che ne dà notizia subito dopo aver scritto della morte di Pertarito (688), la si potrebbe collocare verso il 690. Non si sa di quale regno in particolare Ermelinda fosse originaria. Forse del Wessex, il cui re, Caedwalla, diretto a Roma, venne accolto con tutti gli onori da Cuniperto nel 68818.

In quel periodo, infatti, erano diventati frequenti i flussi di pellegrini che, dalla Britannia, si recavano a Roma: non di rado compivano il viaggio membri delle famiglie reali anglosassoni, non esclusi gli stessi sovrani19. Pertarito, inoltre, aveva avuto relazioni con la Britannia durante l’esilio. In tale quadro va dunque spiegata la scelta matrimoniale. E’ possibile che Ermelinda si dedicasse a offrire assistenza ai pellegrini suoi connazionali.

Di Ermelinda, Paolo Diacono riferisce solo un celebre aneddoto, di sapore boccaccesco:

Ella vide alle terme Teodote, una ragazza appartenente a una nobilissima famiglia romana, di belle forme e con una chioma bionda che, sciolta, le arrivava quasi ai piedi, e ne elogiò la bellezza parlando con suo marito Cuniperto. Questi fece finta di non dare molto peso alle parole della moglie, quando, in realtà, si era acceso di grande desiderio per la giovane. Senza esitare, si diresse nella boscaglia chiamata Urbe per una battuta di caccia e si fece accompagnare da Ermelinda. Poi, durante la notte, se ne tornò a Pavia, mandò a chiamare Teodote e la sedusse. Tuttavia, in seguito, la inviò nel monastero situato a Pavia, che da lei prende nome 20.

L’aneddoto è stato spremuto per ricavarne informazioni di ogni genere sulla vita quotidiana dei re longobardi alla fine del VII secolo. Molto si è discusso circa l’origine di Teodote: romano-italica? Bizantina? Il Bertolini non vi vede altro che una «leggenda nata da etimologia popolare» 21.

Come sappiamo, esiste un’iscrizione che conferma l’esistenza di una badessa Teodote, anzi, di due. La più anziana è candidata a essere la regina, moglie di Grimoaldo. La vittima della passione di Cuniperto potrebbe essere la seconda (che assunse tale nome in onore della prima). Dunque, qualche elemento riconducibile alla realtà storica esiste, ma i fatti sono stati certamente trasfigurati e deformati dal mito.

Ciò che più, in questa sede, interessa, comunque, è rilevare come l’aneddoto confermi la stabilità della posizione di una regina longobarda nei confronti del marito. Né sospetti di carattere politico, come nel caso di Gundeperga, né una lunga separazione, come in quello di Rodelinda, né i capricci del sovrano, come in questo caso, portano al suo ripudio o a una monacazione forzata. Ermelinda rimane al suo posto: chi finisce in monastero, è la sua sventurata rivale.

Le mutilazioni di Teodorada

Altra cosa erano i rischi che una regina, o aspirante tale, condivideva con il marito, come si vide a distanza di pochi anni. Cuniperto morì nel 700. Lasciava un figlio ancora bambino, Liutperto. Ermelinda non assunse la reggenza: o, a quella data, era già morta, oppure non era giudicata all’altezza della situazione e, presumibilmente, preferì ritirarsi in un monastero. Gli anni successivi, infatti, furono particolarmente drammatici e a corte poteva esserci sentore che la successione di Cuniperto non sarebbe stata facile.

Reggente divenne Ansprando, un personaggio energico, la cui origine è ignota. È possibile che vantasse legami con la famiglia reale. Ansprando dovette combattere contro Ragimperto, che altri non era se non il figlio di Godeperto, sopravvissuto al padre nel 662. Ragimperto si impadronì del trono, ma morì a breve distanza di tempo. Suo figlio, Ariperto II, sconfisse definitivamente Ansprando, catturò Liutperto e lo fece uccidere. Regnò quindi per un decennio (702-712).

Dopo la morte di Liutperto, il solo rivale di Ariperto II in grado di aspirare al trono divenne Ansprando. L’unica altra discendente di Cuniperto di cui si abbia notizia è una figlia, Cuniperga, di cui è riemersa l’epigrafe nel monastero di Santa Maria in Teodote. Forse era entrata in monastero già prima della morte del padre; o forse venne costretta a farsi monaca per impedire che, sposandola, qualcuno potesse aspirare al trono. L’epigrafe ci restituisce l’immagine di una personalità amabile: «D’aspetto fu, in mezzo a donne belle, bella/sereno il volto, la primavera fiorita negli occhi/ mai la fronte si rannuvolava, dalle labbra fluivano parole dolci come il miele»22.

Il monastero mise Cuniperga al riparo dalle disgrazie che, invece, si accanirono sulla famiglia di Ansprando. Questi era riparato presso i Bavari, ma i suoi familiari erano caduti nelle mani di Ariperto II, che ne fece accecare il figlio Sigiprando. «Fece anche arrestare sua moglie, di nome Teodorada. Poiché, con ambizione femminile, si vantava che sarebbe diventata regina, la bellezza del suo volto venne sfigurata con il taglio del naso e delle orecchie. Allo stesso modo fu mutilata Aurona, sorella di Liutprando». Liutprando, figlio minore di Ansprando, venne invece inviato da Ariperto al padre 23.

Tali eccessi, soprattutto contro le donne, non erano consueti nella società longobarda, né in quella visigota. Il re dei Vandali Unerico aveva fatto sfigurare la moglie, ma il fatto risale al V secolo. Più che a questo lontano precedente, Ariperto II guardava alle pratiche in uso presso la corte di Costantinopoli. L’accecamento era una di esse, così come il taglio di naso e orecchie. Pochi anni prima, nel 695, all’Imperatore Giustiniano II, detronizzato, era stato mozzato il naso. L’integrità fisica era una condizione indispensabile per regnare e le mutilazioni avevano lo scopo di inabilitare qualcuno al potere.

Nel caso longobardo, è degno di nota il fatto che si applicassero a donne, quasi che Ariperto II le considerasse una minaccia come se fossero stati uomini. Non è da escludere che Teodorada avesse promosso qualche iniziativa in favore di Ansprando. Circa sua figlia Aurona, sappiamo che all’epoca era già sposata e madre. Forse suo marito era quel Rotari, che si fece proclamare re a Bergamo e finì, anch’egli, ucciso da Ariperto?

Se Teodorada sopravvisse, arrivò a essere regina. Nel 712, infatti, Ansprando, forte dell’aiuto dei Bavari, rientrò in Italia e divenne re. Ariperto II morì annegato mentre tentava di fuggire da Pavia. Neanche tre mesi dopo, lo stesso Ansprando morì e gli successe il figlio maschio superstite, Liutprando.

La pia Ragintrude

Il regno di Liutprando (712-744) fu il più lungo e uno dei più importanti nella storia dei Longobardi. A fianco del re, tuttavia, non troviamo una figura di regina altrettanto significativa. Guntrude, la moglie di Liutprando, probabilmente morì in giovane età e prematura dovette essere anche la scomparsa dell’unica figlia avuta dal re.

Di Guntrude sappiamo che era bavara, dunque il suo matrimonio con Liutprando si colloca nel quadro delle relazioni di alleanza instaurate da Ansprando con quel popolo. Rimasto vedovo, Liutprando non si risposò. La successione, pertanto, passò a uno dei nipoti, nati dai suoi sventurati fratelli, vittime di Ariperto. Liutprando provvide per tempo ad associarsi al trono uno di essi, Ildeprando.

All’epoca liutprandea pare comunque risalga un’iscrizione funebre che celebra una regina di nome Ragintrude. Potrebbe trattarsi della stessa moglie di Liutprando, di cui Paolo Diacono, forse, trascrisse il nome in forma inesatta. L’opinione prevalente, comunque, è che si tratti della moglie di Ildeprando. Nell’iscrizione, così riprende vita la figura di Ragintrude:

Ragintrude, che sempre sarà ricordata per le sue parole pie

La vita negli anni della giovinezza la morte

le sottrasse, all’improvviso, quando sedeva in trono.

Sebbene fosse regina in così breve spazio di tempo,

fu ornamento del regno appena iniziato:

venerava le chiese, e ai sacerdoti e ai ministri di Dio

devota tributava il dovuto rispetto,

tutte le volte che il diadema e le vesti di porpora

deponeva, come un’umile serva di Cristo.

E così con le sue mani offriva l’elemosina ai poveri

scambiando il decoro regale con vesti modeste 24.

Il testo conferma le funzioni tradizionali delle regine longobarde, da sempre attive in ambito religioso. Di nuovo, si aggiunge l’impegno in favore dei poveri, una funzione tipica di sovrane e imperatrici, derivante dall’estensione della dimensione materna all’insieme dei sudditi. In precedenza, la generosità nelle elemosine era stata ricordata in relazione ai sovrani, a partire da Pertarito: obbligo doveroso per una monarchia cattolica, ma anche esigenza nata da una maggior complessità della società longobarda. Degno di nota è anche il riferimento all’abbigliamento della regina, che veste alla romana e porta un diadema quale contrassegno del suo rango.

Tassia, una romana regina dei Longobardi

Il lungo regno di Liutprando fu seguito da una fase di instabilità, sintomo di fattori di crisi, che minavano l’organismo politico creato dai Longobardi in Italia. Dal punto di vista istituzionale, comunque, la posizione della regina si andava sempre più precisando, recependo le suggestioni che provenivano dal modello rappresentato dalla corte di Costantinopoli.

Il nome della regina appare spesso a fianco di quello del re in atti e donazioni, mentre il suo mantenimento era assicurato dalle rendite di alcune proprietà terriere, le curtes domnae regiae, situate, probabilmente, presso la capitale. Tali rendite permettevano il mantenimento di una struttura di funzionari, gastaldi e gasindi, parallela a quella del re e dipendente dalla regina 25.

Ildeprando, succeduto allo zio Liutprando, conservò il potere per pochi mesi. Venne rovesciato da Ratchis, duca del Friuli, la cui moglie, Tassia, è una figura interessante. Vorremmo saperne di più sul suo conto, ma, dopo aver concluso la narrazione del regno di Liutprando, Paolo Diacono depose la penna, proprio quando avrebbe potuto scrivere di personaggi da lui conosciuti personalmente.

Una fonte successiva ci informa che Tassia proveniva dall’aristocrazia di Roma. Ratchis l’avrebbe sposata secondo l’uso romano, violando le norme matrimoniali longobarde26. Tale notizia acquista particolare significato se messa in relazione con la politica di avvicinamento a Roma e al papato perseguita, inizialmente, da Ratchis; e con le aperture del re nei confronti della popolazione romano-italica. Ratchis, inoltre, si fece chiamare princeps e non rex Langobardorum e introdusse un latino letterario nel linguaggio giuridico 27.

Tutto questo ha indotto a ipotizzare un influsso di Tassia sulle decisioni del marito28. Il processo di integrazione fra la popolazione romano-italica e i Longobardi era in atto da tempo, spesso indipendentemente dalla politica della monarchia, così come, sin dall’epoca di Agilulfo, la corte recepiva l’influsso dei modelli romani. E’ questo il primo caso di un indirizzo così marcato assunto dal re in tal senso. L’esperimento di Ratchis, comunque, ebbe breve durata. Dopo cinque anni di regno venne deposto e sostituito dal fratello Astolfo (749-756), la cui moglie, la regina Giseltrude, appare più in ombra rispetto a Tassia.

Ratchis si ritirò nel monastero di Montecassino. Tassia, invece, si insediò in un altro monastero, poco lontano, quello di Piumarola, da lei stessa fondato, insieme alla figlia Rotrude29. Nel 756, alla morte del fratello, Ratchis rientrò brevemente a Pavia, ma, rendendosi conto di non riuscire a recuperare il potere, riprese la via di Montecassino.

L’ultima regina, Ansa

La corona passò a Desiderio, originario, come sua moglie Ansa, di Brescia. Il padre di Ansa portava un nome latino, Verissimo, ma nell’VIII secolo cominciava a essere frequente che romano-italici adottassero nomi germanici e longobardi nomi latini – come lo stesso Desiderio, del resto. La coppia, che si era sposata presumibilmente all’epoca di Liutprando, occupava una posizione prestigiosa nell’aristocrazia bresciana. Nel 753 promosse la fondazione di un monastero, voluto soprattutto da Ansa, della cui comunità femminile divenne badessa la figlia Anselperga. Il monastero venne inizialmente intitolato ai Santi Michele e Pietro 30.

Desiderio, intanto, diventava un personaggio autorevole alla corte di Astolfo e, probabilmente, la famiglia si trasferì a Pavia, per poi passare in Toscana, ove il marito di Ansa ricoprì la carica di duca. Alla morte di Astolfo, Desiderio riuscì a estromettere Ratchis e a ottenere il trono. Nel corso del suo regno (757-774), secondo Paolo Diacono, che le dedicherà un epitaffio in versi, Ansa, a suo dire «bellissima», esercitò un ruolo determinante. Pur tenendo conto dell’enfasi insita in questo genere di testi celebrativi, Carlrichard Helbling le riconosce «una personalità rilevante ed autonoma» 31.

Uno degli ambiti in cui la regina operò fu quello, tradizionale, del culto religioso. Ansa ingrandì il monastero bresciano, che ricevette la nuova intitolazione al Salvatore e al quale furono collegate, in posizione subordinata, altre sedi monastiche del Regno, in modo da creare una rete di monasteri legati alla corona32. Presumibilmente ebbe anche parte nella politica matrimoniale che rafforzò, nel contesto europeo, la posizione della monarchia longobarda. Sono storicamente note altre tre figlie di Ansa e Desiderio, oltre alla badessa Anselperga: Adelperga, sposata ad Arechi, che fu imposto come duca a Benevento;

Liutperga, che sposò il duca di Baviera Tassilone, e una terza figlia, il cui nome non è indicato dalle fonti del tempo, che invece sposò Carlo, non ancora Magno, re dei Franchi. Alessandro Manzoni, che ne fece un personaggio letterario, la chiamò arbitrariamente Ermengarda e non è raro incontrarla con questo nome nei testi di storia 33.

Desiderio, affiancato, dal 759, dal figlio maschio Adelchi, risollevò le sorti del Regno, senza però poter eliminare fattori di disgregamento che affiorarono in occasione della guerra contro i Franchi. Assediato a Pavia nell’inverno 773–774, Desiderio fu abbandonato da molti duchi e finì per arrendersi a Carlo vincitore. Le cronache concordano nel riportare che sia il re sconfitto, sia Ansa vennero condotti prigionieri in Francia. Esiste tuttavia una tradizione locale che vuole Ansa sepolta nel monastero di San Salvatore a Brescia. Non è impensabile che, ormai anziana, dopo la morte del marito ricevesse il permesso di finire i suoi giorni nel monastero a lei caro.

Con la fine del Regno longobardo s’interruppe anche lo sviluppo del concetto della regalità femminile che quella civiltà stava portando avanti. La figura di Ansa rappresenta un’ulteriore passo avanti, in quanto la documentazione notarile del tempo mostra che alla regina venivano ormai attribuiti titoli, declinati al femminile, un tempo riferiti al re: «excellentissima», «reverendissima», «felicissima»34 . L’eredità di tale retaggio passò però al Ducato di Benevento, attraverso la figlia di Ansa, Adelperga, trovandovi un terreno particolarmente fertile.

A Benevento, infatti, la figura della duchessa stava subendo un processo analogo e, anzi, aveva già raggiunto livelli notevoli, certamente anche a causa della vicinanza con gli avamposti bizantini35. L’istituzionalizzazione della funzione delle regine subì un rallentamento, ma non si arrestò, portando, nel X secolo, al raggiungimento, da parte dell’Imperatrice Adelaide, del rango di consors Regni36 e a quello di coimperatrix Augusta da parte dell’Imperatrice Theofano 37.

NOTE

1 La fonte principale è, ovviamente, la Historia Langobardorum di Paolo Diacono (d’ora in avanti HL). Faccio riferimento all’edizione Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori, 1992, dal Commento particolarmente ricco. La regina più conosciuta è Teodolinda, cui sono state dedicate le biografie: A. Magnani –Y. Godoy, Teodolinda la longobarda, Milano, Jaca Book, 1998 e F. Bonalumi, Teodolinda. Una regina per l’Europa, Torino, San Paolo, 2006.

2 Procopio di Cesarea, Bellum Gothicum, IV, 25.

3 Ho analizzato la vicenda in Re Alboino fuori dalla leggenda, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria 110 (2010), 232-236.

4 S. Gasparri, Pavia longobarda, in Storia di Pavia, (= Storia di Pavia, vol. II, L’Alto Medio Evo, Pavia, Banca del Monte, 1987), 46.

5 Mi permetto di rinviare al mio Gundeperga, una regina longobarda a Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria 104 (2004), 235-246.

6 Paolo Diacono afferma che Ariperto I, morendo, istituì una diarchia che prevedeva che entrambi i fratelli regnassero. Una formula di tal genere aveva precedenti a Costantinopoli, ma non nella tradizione longobarda. Esiste un tentativo nel Regno dei Visigoti da parte di Leovigildo, che creò due corti minori per i figli Ermenegildo e Recaredo, circa un secolo prima.La ribellione di Ermenegildo pose comunque fine all’esperimento.

7 Sulla base delle conclusioni del Bognetti, Grimoaldo è spesso stato considerato ariano, pur non essendoci prove evidenti di ciò. La Vita Barbati presenta piuttosto un quadro della corte di Benevento in cui persistono forti elementi pagani, dei quali è partecipe anche il duca Romualdo, figlio di Grimoaldo. Della Vita Barbati vedasi l’edizione a cura di M. Montesano, Parma, Pratiche, 1994.

8 Garipaldo era il nome del padre di Teodolinda e di Gundoaldo, dai quali discendevano i due rami della dinastia bavara.

9 Carmen de synodo ticinensi, in Monumenta Germaniae Historica (d’ora in avanti: MGH), Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannover, Hansche, 1878, vv. 14-15.

10 HL, 34. Paolo non menziona il fatto che Pertarito ponesse a capo della comunità monastica sua sorella.

11 Il testo dell’iscrizione è analizzato da F. Elo Consolino, La poesia epigrafica a Pavia longobarda nell’VIII secolo, in Storia di Pavia, 166. Il nome Teodote è greco, ma potrebbe essere stato assunto dalla regina nel momento dell’ingresso in monastero. Potrebbe però essere anche un nome germanico, composto di theud, “popolo”, opportunamente grecizzato. Anche il nome del duca Alachi nel Carmen de synodo, v. 23, viene grecizzato in Alexus.

12 Un’analisi dell’epitaffio e delle problematiche ad esso connesse, in Consolino, La poesia epigrafica, 162. Cfr. V. Lanzani, La Chiesa pavese nell’Alto Medioevo: da Ennodio alla caduta del Regno longobardo, in Storia di Pavia, 431.

13 Nelle famiglie germaniche talvolta si ripetono gli stessi elementi nei nomi composti: Rotari, suo figlio Rodoaldo e Rodelinda hanno tutti e tre il nome che inizia con hrot, “gloria”. Naturalmente si tratta di un’ipotesi assai labile, come quella relativa alla possibile provenienza dal Kent di Ermelinda (vedi oltre).

14 Rodelinda era il nome della madre di Alboino. Forse la regina vantava legami con la stirpe dell’ormai leggendario re della calata in Italia?

15 Sin dai tempi di Giustiniano sovrani e principi germanici venivano condotti a Costantinopoli ed eventualmente usati nei vari scacchieri politico-militari. Nel 663, Costante II riuscì a catturare Gisa, sorella di Romualdo, e la portò con sé in Sicilia, ove la donna morì.

16 Assentandosi per la guerra, Grimoaldo aveva lasciato il palazzo al duca Lupo, che ne approfittò per tentare di impadronirsi del potere. HL, V, 18.

17 HL, V, 34.

18 HL, VI, 15. Cfr. Bedae historia ecclesiastica gentis Anglorum, V, 7. Dell’opera, vedasi l’edizione italiana a cura di M. Lapidge, traduzione di P. Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla/ Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008 (vol. I) e 2010 (vol. II). Cfr. Anglo-saxon chronicle, translated with an introduction by G. N. Garmonsway, London, J.M. Dent and sons, 1953, 54-55. I reali del Wessex avevano instaurato un rapporto privilegiato con Roma. Lidia Capo, nel Commento a Paolo Diacono, cit., 556, riprende peraltro l’ipotesi, avanzata dalla storiografia inglese, che Ermelinda fosse originaria del Kent, in quanto nella locale dinastia erano diffusi nomi composti con Eormen-.

19 Vedasi il mio Regine anglosassoni a Pavia nell’Alto Medioevo, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria 106(2006), 185-194.

20 HL, V, 37. L’ambientazione storica dell’aneddoto è precisa. In quel periodo il vescovo Damiano aveva fatto restaurare le terme e la selva Orbe è più volte citata da Paolo Diacono come terreno di caccia per i re longobardi, che amavano dedicarsi a tale attività (due di essi, Grimoaldo e Astolfo, morirono in incidenti di caccia).

21 P. Bertolini, Cuniperto, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXXI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1985, 387.

22 Consolino, La poesia epigrafica, 168.

23 HL, VI, 22.

24 Consolino, La poesia epigrafica a Pavia, 169.

25 Gasparri, Pavia longobarda, 53.

26 Il Chronicon di Benedetto di Sant’Andrea del Soratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, a cura di G. Zucchetti, Roma, Tipografia del Senato, 1920, 65.

27 Capo, Commento a Paolo Diacono, 610.

28 J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 1995, 109.

29 Continuatio Casinensis, (Pauli continuationes, I), 3, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum, 199.

30 G. Bognetti, La Brescia dei Goti e dei Longobardi, in Storia di Brescia, vol. I. Dalle origini alla caduta della signoria viscontea, Brescia, Morcelliana, 1963, 435.

31 C. Helbling, Ansa, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 3, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1961, 361.

32 Jarnut, Storia dei Longobardi, 120.

33 Fonti tarde la chiamano Desiderata oppure Berterada. La storiografia più recente ha avanzato riserve circa la possibilità che Carlo Magno sposasse effettivamente una figlia di Desiderio. Altri hanno ipotizzato che Gerberga, moglie di Carlomanno, fratello di Carlo, fosse essa stessa figlia di Desiderio. Sulla questione vedasi G. Minois, Carlo Magno. Primo europeo o ultimo romano, Roma, Salerno, 2012, 131-133, che evidenzia «la difficoltà e le incertezze dello storico» nel ricostruire le vicende di tale periodo.

34 C. La Rocca, Donne al potere. Le regine nell’Alto Medioevo, Firenze, Giunti, 1998, 27.

35 K. F. Werner, Nascita della nobiltà. Lo sviluppo delle élites politiche in Europa, Torino, Einaudi, 2000, 303 sgg.

36 P. Golinelli, Adelaide. Regina santa d’Europa, Milano, Jaca Book, 2001, 10.

37 R. Gregoire, Theofano. Una Bizantina sul trono del Sacro Romano Impero, Milano, Jaca Book, 2000, 65.

Estratto da "Studi sull'Oriente Cristiano", n. 16/1 (2012), 79-91.

Pubblicato 09/01/2013 23:16:34