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SAVONAROLA A PAVIA


Fra Girolamo Savonarola (1452-1498), domenicano dell’Ordine dei Predicatori, alla fine dell’anno 1489 si trovava a Brescia, quando gli giunse l’ordine dei superiori di recarsi a Genova per predicare la quaresima del 1490. Partì verso la metà di gennaio, a piedi, come era sua consuetudine, e il giorno 25 di gennaio scrisse una lettera da Pavia a sua madre.

Non sappiamo dove alloggiasse a Pavia, se nel convento di San Tommaso o in quello – fuori le mura – di Sant’Apollinare, tuttavia questa presenza nella nostra città è chiaramente testimoniata dalla lettera che qui pubblichiamo integralmente.

Poi, compiuta la predicazione in Genova, il frate rientrò a Firenze, su richiesta di Lorenzo de Medici. Nell’agosto di quell’anno 1490, profetizzò dal pulpito della chiesa di S. Marco l’avvento dei tremendi misteri dell’Apocalisse. Nel luglio 1491, Girolamo Savonarola fu eletto priore del convento di San Marco e iniziò con vigore la campagna per la moralizzazione dei costumi della città, soprattutto durante la successiva rivolta contro il potere mediceo e l’instaurazione della Repubblica.

LA LETTERA

A Elena Bonaccorsi, sua madre.

JESUS MARIA

Honoranda Madre. La pace de Xpo sia con voi. Io so che vui vi maravigliati che non ho scripto già sono molti giorni; ma questo non ho facto per che mi habbia dimenticato di vui, anzi per bisogno di messi, che non mi è occorso niuno in questo tempo che sia venuto a Ferrara da Brexa; excepto dopo la festa di Natale vene in qua uno de’ nostri, et io era tanto occupato in quelle feste, che persi la memoria di scrivervi: della quale cosa molto me ne dolsi.

Dopoi, essendo venuto nui fra Iacopo da Pavia, che fu priore nel convento nostro de li Angeli inanzi a questo che è adesso, mi disse de vui, come vi dolevi che io non scriveva: et io, non havendo messi, gli risposi che questa via da Brexa a Ferrar è fora di mano, non si po’ così havere messo fidele. Di che, andando io a Genoa, mi disse che, quando fusse a Pavia, haveria messi ogni giorno, e che da Pavia vi scriva. Sicché, essendo io mandato dalla obedientia a predicare questa quaresima a Zenova, et essendo giunto a Pavia, secondo che io havevo disposto vi scrivo, notificandovi che io sto bene, e sono contento quanto alla mentem e sano quanto al corpom benché sia stancho del camino, e che io abia anchora longa via insino a Zenova. Altro non so che notificarvi, se non che da vui so bene che non ho havuta lettera niuna da poi che non vi vidi, ch’io di ricordi; né avvisatione di fatti vostri, excepto da preditto frate Iacomo; ma me ne imagino bene che vui seti in tribulatione, onde io pregho quanto po’ la mia fragilitate continuamente Iddio. Per vui altro non so che fare: se altramente vi potessi aiutare vi aiutaria, ma una volta essendo io libero mi son fatto servo per amore di Jhesu, el quale mio amore si fece homo, et prese forma di servo per farmi libero; poi in tutto cerco la gloria de la libertate de li figlioli de Dio: e però studio quanto io posso di servire a lui, e per niuna affetione terrena e carnale di non mi subtrahere da le fatiche, per suo amore volentiera lavorando nella soa vigna in diverse citade; a ciò ch’io non solamente salvi l’anima mia, ma etiam quella de li altri: temendo etiam grandemente il suo iudicio, se io non facesse a questo modo; perché, se lui mi ha dato il talento, bisogna che io lo spenda in quello modo che a lui piace. Sì che, madre mia dilectissima, non vi debbe agravare se mi alongo da vui, e se io vado in diverse citade discorrendo; perché tutto questo facio per la salute de molte anime, predicando, exhortando, confessando, legendo e consigliando; e non vado mai da loco a loco se non per questo fine, per lo quale etiam mi mandano sempre li mei prelati; e però piutosto vi doveti confortare che Idio se sia degnato di elezere uno de li vostri fructi, e ponerlo a tanto officio. Se io stesse a Ferrara continuamente, crediate che non faria tanto fructo quanto facio di fori, sì perché niuno religioso o pochissimi fano mai fructo di sancta vita nella patria propria; e però la sancta Scriptura sempre grida che si vada fori de la patria; sì etiam perché non è data tanta fede a uno de la patria, quanto a uno forestiero, et nele predicatione e consigli; e però dice el nostro Salvatore, che non è propheta accepto ne la patria soa: onde anchora lui non fu accepto ne la sua patria.

Dopoi, adoncha, che Dio s’è degnato di elegerme da li miei peccati a tanto officio, dove io lo ringratio infinite volte, stati contenta che io stia ne la vigna di Xpo, fori de la patria mia, dove io so e tocho con le mane et ho questa experientia, che senza comparatione facio maggiore fructo a l’anima mia et a quella de le altrem che io non faria a Ferrara: ne la quale se io stesse, e volesse fare quello che io facio ne le altre citade, io so ch’el me seria detto che era detto da li compatrioti di Xpo a lo stesso Xpo, li quali, quando lui predicava, dicevano: Non è costui fabro, e figliolo di un fabro, e figliolo di Maria? E non se degnavano di odirlo. Così diriano di me: Non è costui quello maestro Hieronymo che faceva li tali et li tali peccati, che era come nui? Hor sapiamo bene chi è costui; e non oderiano divotamente le mie parole. Onde a Ferrara molte volte mi è stato detto da alcuni che mi vedeno in tale exercitio di caminare di citade in citade, che li nostri frati debeno havere bisogno di homini, quasi come dicesseno: Se in tante cose exercitano te, che sei vile, certa cosa è che hano bisogno di homini. Ma fori de la patria mia non mi è detto tale parole; anzi, quando io voglio partire, piangono homini e donne, et apreciano grandemente le mie paole.

Non scrivo questo perché cerchi laude humane, né perché mi diletti di laude; ma per dimostrarvi quale sia il mio fine in questo mio stare fori de la patria, a ciò che conosciati che io li sto volentieri, perché io so che faccio cosa più grata a Dio e più salutifera a me et a le anime de li mei proximi: le quali cose intanto prepono a tutti li thesori mondani, che, a comparatione del mio guadagno, li reputo come fango.

E però, madre mia honorandissima, non vi dolete di questo, perché quanto più mi farò grato a Dio, tanto più le mie oratione per vui valerano apresso di lui; e non crediati esser da lui abandonata per le tribulatione, anzi piuttosto crediati che vui lo havesti habandonato, e lui ne ha abandonata vui; però che per li flagelli vi costringie a ridurvi a lui, forsi che per questa via vi vole salvare con li vostri, et vole exaudire le mie oratione, ne le quali io non prego che ve dia de la roba, ma che vi dia de la sua gratia, e che vi conduca a vita eterna per quella via che piace a lui.

Io credeva di scrivere poche parole, ma l’amore ha fatto trascorrere la pennam et ho aperto a vui più il mio core ch’io non mi havea pensato di fare.

Sapiti donque finalmente, ch’el mio core è più fixo che mai fosse ad exponere l’anima e il corpo, e tuta la scientia che mi ha data Dio, e tuta la gratia per amore de Dio e per la salute del proximo mio: e perché questo non posso fare ne la patria, io voglio fare di fori. Onde io vi prego che questo mio corso non vogliati impedire, sapendo vui di certo, che quando vi poterò giovare in qualche cosa, lo farò: e quando sarà bisogno, non mi agravarà venire a Ferrara; ma quando non è bisogno, mi reputo grave peccato per poca cosa lassare le operatione di Dio, le quali lui mi commette.

Vi conforto havere patientia in ogni cosa, e consolare noste sorele, le quali debbono sapere che Idio ha meglio provisto per loro che non se credeno: e però, che se altramenti forsi le havesse tractate, dandoli de la rova e de li honori e maritandole, seriano cadute in diversi e gravi peccati che loro non sanno, o seriano più involte nel mondo che non sono.

Vorria che aprissero li occhi e che cognoscesseno la gratia la quale li ha facto Dio, al quale se debeno con tuto el core ricomandare, perché non habandona mai chi se fida in lui.

Confortàti nostri fratelli al ben vivere e tuta l’altra brigata. Oggi, poi che haverò mangiato, pigliarò el camino verso Genova.

Pregati Idio che mi conduca salvo, e che mi facia fare gran fructo in quel populo. Ricomandatime a nostro barba et nostra zia e nostri cusini e cusine. Idio sia con vui per gratia, e vi guardi da male per amore del nostro Signore Yhu Xpo, amen.

Scripta in Pavia, in pressia, el dì de la Conversione di S. Paulo Apostolo, 1490.

Vostro figliolo, Frate HIERONYMO SAVONAROLA.

Da: Archivio storico italiano, Appendice, Vol. VIII.

Pubblicato 24/06/2019 11:40:45