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IL REGNO DEL GHANA E L'IMPERO DEL MALI

La saga di Sunjata

Il regno del Ghana

Intorno al sec. IV d.C., all'epoca della caduta dell'Impero Romano, gruppi di berberi si spinsero verso sud e verso est dal Sahara marocchino. Si pensa che tali "invasioni" abbiano avuto un importante influsso sulle culture delle popolazioni negroidi, con l'introduzione dell'allevamento di dromedari, bovini ed equini. Nel sec. VII iniziarono le relazioni commerciali tra il Sahel e il mondo arabo. A partire da tale data abbiamo anche i resoconti dei cronisti e dei viaggiatori arabi, che descrissero la regione. Le risorse principali che permisero il fiorire di grandi Stati saheliani furono le condizioni favorevoli dell'agricoltura e la posizione geografica strategica, di "nodo" lungo gli assi commerciali trans-sahariani, dei loro territori.

Il regno del Ghana (da non confondersi con l'omonimo Stato attuale), conosciuto anche col nome di Wagadù, era situato fra il fiume Niger e l'Oceano Atlantico, in una zona oggi compresa tra la Mauritania e il Mali. Esso si formò intorno al sec. IV d.C. (ma si presume che la capitale esistesse già nel sec. IV a.C.) e conobbe il massimo splendore nel sec. IX e nel X, contemporaneamente al Sacro Romano Impero d'Occidente, fondato in Europa da Carlo Magno La storia dei neri (Tarikh as Sudan), scritta da uno storico arabo, dice che una dinastia di 44 principi bianchi regnò, prima dell'anno 750, sulla regione chiamata Wagadù (il paese delle greggi). Questi bianchi si mescolarono sempre più con le popolazioni locali, sino a che i regnanti e i capi militari non furono di pelle nera. Il centro dell'antico regno del Ghana, con le due capitali di Awdaghost e di Kumbi Saleh, si trovava nel sud dell'attuale Mauritania. La maggioranza della popolazione era formata dai neri Soninké. Essi veneravano un miniyamba, un pitone reale (si tratta di una specie che cresce solo sino a un metro e mezzo di lunghezza) che viveva in un pozzo o in una caverna. Esso rappresentava il feticcio dell'impero, un potente serpente a sette teste, detto Bida o Bira. Secondo le loro credenze, i poteri soprannaturali del serpente garantivano la prosperità dell'Impero e assicuravano le piogge e i raccolti, vegliando sul lavoro e sulle nascite, sulla ricchezza e sul potere militare.

Ogni anno la popolazione sacrificava al serpente una ragazza vergine, di famiglia nobile. Quando si dovette sacrificare Siya Tunkara, il suo fidanzato Amadù Séfédokoté ruppe la tradizione, affrontò il serpente a sette teste e l'uccise. Gli tagliò tutte le sette teste e l'ultima, volando via, gridò: "d'ora in poi, per 7 anni, 7 mesi e 7 giorni, questo paese non vedrà più né acqua né oro". La miseria e il deserto afflissero il regno del Ghana, ne provocarono la decadenza e dispersero la sua popolazione.

Il viaggiatore arabo El Bekri ha lasciato la descrizione di Kumbi Saleh, capitale dell'impero del Ghana, nel sec. XI. Erano due città, distanti fra loro una decina di chilometri. L'una abitata dal re pagano con la sua corte, l’altra dai commercianti musulmani.

Nel 1048, da un ribàt (monastero) che alcuni vogliono collocato sul fiume Senegal e altri sulla Saghiat el Hamra ("canale rosso", nel Sahara occidentale), partirono i guerrieri Almoravidi, musulmani puritani e fanatici, che conquistarono un impero esteso sino alla Spagna e s’impadronirono per qualche tempo anche di Awdaghost e del Ghana (1077). Quest'ultimo, però, riuscì presto a liberarsi della loro egemonia.

Dallo storico arabo Al Zuhri risulta che già verso il 1150 l'esercito del Ghana usava armi di ferro, spade e lance che permettevano di sconfiggere i nemici, armati solo di pietre, legni e ossa.

La situazione geografica, in un nodo di facili traffici, permise anche forti rimescolamenti di popolazioni, a un punto tale che oggi la stessa lingua e le stesse caratteristiche etniche sono ampiamente diffuse su tutta l'area dell'antico impero del Mali. Tuttavia, le stesse condizioni si trasformarono nel tempo in debolezza: la facilità di contatti con l'esterno suscitò appetiti e guerre di conquiste da parte di vicini più potenti. Un'economia basata in gran parte sul commercio estero è facilmente soggetta a flussi e riflussi che dipendono da condizioni esterne.

Lo splendore dell'antico Mali

I due personaggi più famosi delI'impero del Mali furono il fondatore quasi mitico, Sunjata Keita (pronuncia: Sungiata), detto anche Mari Jata, "il leone del Mali", e il ricco Kankan Mussa.

Il regno del Mali esisteva già verso l'anno 1000 e da allora, in breve volgere di tempo, i suoi re, di stirpe malinké, si convertirono all'Islàm. Anche il Mali, come il Ghana, basò le sue fortune sull'estrazione e il commercio dell'oro, che veniva estratto dai versanti del Futa Jallon. I viaggiatori arabi, a partire da El Bekri (1068), riportano molte notizie di questi antichi regni e di altri regni vicini: quello islamico di Silla, alla confluenza della Falemé nel Senegal, potente quasi come il Ghana, e il regno soninké di Galam, che prosperava per le miniere d'oro. Il regno di Silla era famoso per il commercio di sale, anelli d'ottone e grandi tessuti di cotone. Tra il suo territorio e quello del Ghana s’interponevano altri tre regni minori, in uno dei quali si praticava il culto del serpente sacro.

Naré Famaghan (1218-1230), re del Mali, conquistò diverse terre verso il sud. Fra le sue mogli ce n'era una che si chiamava Sogolon Konté ed era soprannominata "la brutta" (kediugù, kuduma), perché era coperta di pustole. Suo figlio nacque malato e deforme e camminò a quattro zampe sino all'età di sette anni. Fu in quel periodo che il re Sumaoro di Sosso si impadronì del regno del Mali e uccise tutti i figli del re, tranne quello deforme.

Un giorno il bambino (abbiamo già capito che si tratta di Sunjata) cercò di mettersi in piedi appoggiandosi a un sbarra di ferro, ma la sbarra si piegò. Dopo diversi tentativi, dopo aver piegato varie sbarre, riuscì finalmente ad alzarsi appoggiandosi sullo scettro del padre. Il giovane principe intraprese una lunga guerra per la liberazione del suo popolo. Sua sorella si fece sposare dall'usurpatore, per carpirgli il segreto della sua invulnerabilità. Scopri così che poteva essere ucciso solo dallo sprone di un gallo bianco.

Sunjata, con tutti i suoi alleati, affrontò l'usurpatore nella battaglia di Kirina, non lontano dall'attuale città di Bamako, sulla riva sinistra del fiume Niger (chiamato in lingua locale Joliba, 'il grande fiume'). Cercò di uccidere il rivale con una freccia fatta con lo sprone di un gallo bianco. Ma il corpo dell'usurpatore, come quelli di tanti altri mitici re uccisi in battaglia, non venne mai ritrovato. La leggenda vuole che si fosse trasformato in un turbine di vento.

Nel 1240 Sunjata era ormai signore di un impero. Pose la propria capitale a Niani, lungo un affluente del fiume Niger. Le rovine di questa città sono state scavate dagli archeologi moderni. Ingrandì il territorio dell'Impero, conquistando altre terre verso occidente, sino a toccare le sponde dell'Oceano Atlantico (le zone dell'attuale Senegal), e si annesse anche l'antico impero del Ghana (Tekrùr). Quindi si occupò della prosperità agricola della sua gente. Introdusse e sviluppò la coltura del cotone, dell'arachide e della papaia. Organizzò l'impero in trenta clan che organizzavano tutti i ceti sociali: 5 di artigiani, 4 di guerrieri, 5 di marabù e 16 di "uomini liberi". L'esercito malinké, composto di fanteria e di cavalleria, divenne un poderoso strumento di conquista e d'ordine interno. Sunjata morì nel 1255, dopo vent'anni di regno.

Due sono le leggende fiorite sulla sua fine: l'una vorrebbe che fosse stato ucciso per errore, da una freccia scagliata durante un torneo organizzato in suo onore; secondo l'altra morì annegato nel fiume Sankarani, affluente del Niger, e si trasformò in un ippopotamo (mali), animale totemico protettore del suo impero.

Sunjata Keita, un Achille dalla pelle nera

Il bambino che sradicò un baobab e fondò un impero

A tutti sono note, almeno per sommi capi, le vicende dell'Iliade e dell'Odissea, che secondo la tradizione furono cantate per la prima volta da un bardo cieco cui la tradizione dà il nome di Omero. Molti di noi pensano ancor oggi che solo una civiltà "evoluta" come quella dei "bianchi", destinata quasi per diritto divino a dominare la Terra, avrebbe potuto mettere per iscritto una storia così meravigliosamente concepita.

È proprio per sfatare questo mito che stavolta voglio raccontarvi un'altra Iliade, stavolta però "nera", perché narrata nel poema epico Mandinka «Son-Jara», il primo grande capolavoro della letteratura africana, prima tramandato oralmente dai djele, i bardi della tradizione nigeriana, gli "Omero" dalla pelle scura, e poi messo per iscritto in caratteri arabi verso il 1400.

La storia è complessa, come accade a tutti i capolavori epici, ed io cercherò di condensarla per voi. Dunque, nel XIII secolo Naré Maghann Konaté, re dei Mandinka, popolo evoluto e stanziato nella vallata del Niger, si sente profetizzare da una strega che, se sposerà una donna bruttissima, da lui nascerà un figlio potentissimo. Nonostante sia già sposato con la bellissima Sassuma Berté, da cui ha avuto un figlio altrettanto bello, Dankaran Tumani Keita, egli accetta così di sposare una donna tutt'altro che avvenente dell'etnia Do, Sogolon, nome che in lingua locale significa "la donna bufalo": infatti, se insultata per la sua bruttezza, ella si trasforma davvero per magia in un bufalo furibondo. Nonostante questo, il re ha da lei un figlio, altrettanto brutto, che chiama Sunjata Keita, incapace di camminare e di parlare; a Naré Maghann Konaté la cosa non va giù, scaccia Sogolon e suo figlio e nomina erede Dankaran Tumani Keita, che gli succede alla sua morte. Sogolon, che ha avuto altre due figlie e ne ha adottato una dalla terza moglie di Naré Maghann Konaté, va in esilio con i suoi rampolli nel vicino regno Mena.

Se la storia finisse qui, sarebbe quella di una donna come tante, sfruttata e poi ripudiata. Ma le profezie, si sa, sono fatte per compiersi. E quella riguardante la Donna Bufalo si compie immancabilmente non appena Sumaoro Kante, crudele re dei Sosso e conquistatore dell'intera vallata del Niger, attacca il regno Mandinka. Dankaran Tumani, bellissimo ma inetto, pensa bene di fuggire a gambe levate, abbandonando il regno a sé stesso. Allora i sacerdoti dei Mandinka si ricordano della profezia fatta a Naré Maghann Konaté, e decidono di inviare ambasciatori a Mena per richiamare Sunjata. Quest'ultimo, a dispetto della malformazione alla nascita, si è fatto intanto un giovane forte e invincibile in battaglia: appena ha imparato a camminare, ha sradicato un baobab dalla piazza centrale di Mena e lo ha trapiantato davanti alla capanna di sua madre. Sogolon è già morta da alcuni anni, circondata dall'amore dei figli, e così Sunjata, che non ha più legami con Mena, accetta l'invito di tornare presso i Mandinka per difenderli da Sumaoro Kante. Il re di Mena non vuole privarsi di lui perché vuole dargli in sposa sua figlia, e lo implora di restare; ma durante la notte egli è destato nel suo letto dal fantasma furioso di un bufalo: è Sogolon, che non vuole che suo figlio sia privato del proprio destino di gloria. Così Sunjata Keita torna presso i Mandinka e si oppone a Sumaoro grazie all'aiuto della sorella, divenuta una potente maga, e di un guerriero di proporzioni gigantesche, incontrato durante l'avventuroso ritorno in patria.

Sumaoro tuttavia usa la magia in battaglia, impedendo a Sunjata di prevalere: nessun tipo di freccia, anche trafiggendolo, riesce ad ucciderlo. Quando Sunjata crede di averlo colpito, in realtà si accorge di aver colpito un tronco, o un sasso, con la forma del re stregone. Allora la sorella di Sunjata, dotata di grandi poteri sciamanici, quasi una Circe della Valle del Niger, decide di fare la sua parte: si presenta con un carro di ossa animali alla residenza fortificata di Sumaoro, protetta da un branco di iene affamate, e si fa portare dal re-stregone, che nella sua sala del trono tiene le teste di dodici re da lui uccisi. Sumaoro resta stregato dalla sua bellezza, la vuole in sposa e tenta di farla ubriacare, ma ella è una maga e ad ubriacarsi è Sumaoro che, prima di stramazzare al suolo, le rivela scioccamente il suo segreto: può essere ucciso solo da una freccia fatta con uno sperone di gallo bianco. Le iene impediscono a chiunque di uscire, ma la maga rovescia il carro di ossa, le iene si accaniscono a divorarle ed ella si defila, rivelando al fratello quanto ha scoperto.

Quando Sumaoro si desta non ricorda di aver rivelato il proprio prezioso segreto, ma le teste dei dodici nemici riprendono vita e gli predicono la morte per mano di Sunjata. Per cercare di stornare da sé questo destino il re dei Sosso ingaggia subito battaglia con i Mandinka, ma vede Sunjata puntare su di lui una freccia fatta con uno sperone di gallo bianco. Tenta una fuga disperata, ma è bloccato dal nero uccello della sconfitta, inviato dalla sorella di Sunjata. Appena la freccia lo coglie, il suo corpo si dissolve in sabbia e, dove cadono i suoi bracciali, nasce una pianta mostruosa.

Sunjata ha vinto: si proclama Mansa, "Re dei Re", e fonda l'impero del Mali con capitale Niani. I dodici nemici uccisi da Sumaoro sono riportati in vita da sua sorella e diventano i suoi dodici vassalli, i feudatari dei dodici reami in cui divide il suo regno: Djebeda, Tabon, Negueboria, Kankigne, Togom, Sili, Krina, Koulikoro, Diaghan, Kita, Ka-Ba e Wagadu.

Come Schliemann dimostrò che dietro il mito omerico della Guerra di Troia c'è un preciso fondamento storico, così l'epopea di Sunjata Keita non è solo leggenda popolare: questo sovrano visse davvero, dal 1217 al 1255, e nel 1235 sconfisse davvero i Sosso nella battaglia di Kirina, governando su di un impero federale, come la leggenda attesta.

Fine? No, c'è un seguito. Negli ultimi anni del lungo regno di Sunjata, tra i peli della sua barba vive il djele (cioè il cantastorie) Diakuma Dua, così piccolo da essere testimone degli ultimi suoi momenti. Egli vede il Mansa, spinto dal destino, entrare con il suo cavallo nel fiume Niger; fa appena in tempo a mettersi in salvo prima che il sovrano scompaia nelle acque limacciose. Da esse riemerge solo un ippopotamo. Secondo una tradizione, il nome del "Mali" deriverebbe proprio da una parola che significherebbe "ippopotamo".

Questa è la vicenda cantata dai djele e confluita poi nel poema « Son-Jara », che come avete visto non ha proprio nulla da invidiare alle "nostre" Odissea ed Eneide. Ma forse Sunjata Keita non sarebbe capace di convincere di questo fatto i moderni corifei della "superiorità della cultura bianca" neppure se tornasse e trapiantasse davvero un baobab davanti alle loro case...

Altri re (mansa) del Mali sono conosciuti: Ulé (1255-70), figlio di Sunjata, Abubakar I, Sakura, autore di espansioni territoriali, Abubakar II, che attrezzò due spedizioni oceaniche e partì per "scoprire" nuove terre, alla testa di duemila navi, verso il Sud America. Questo Abubakar non ritornò mai e non sappiamo che fine abbia fatto, ma del suo successore mansa Kankan Mussa, che regnò dal 1312 al 1332, parlarono tutte le cronache dell'Islàm e dell'Occidente.

Mussa intraprese il pellegrinaggio alla Mecca nel 1324, accompagnato da 60.000 servitori, con due tonnellate d'oro. Arrivato al Cairo, offrì tanti regali a tutti che il prezzo dell'oro sul mercato locale subì un tracollo. Rifiutò di inchinarsi di fronte al sultano della città, dichiarando: "mi prostrerò solo davanti a Dio che mi ha creato e messo al mondo". Il re del Mali ritornò al suo paese con un poeta-architetto spagnolo, originario di Granada, Abu Issak, detto es Saheli. Secondo la tradizione, quell'architetto fu l'artefice dello sviluppo dell'architettura tradizionale e realizzò grandi costruzioni con l'argilla cruda, tanto nella capitale come nelle città del Nord, Timbuktù e Gao.

Fu il momento di massimo splendore dell'Impero. Nel 1325 un capitano di Kankan Mussa riuscì anche a sottomettere Gao e il regno Songhaï. La ricchezza favolosa. ostentata dai re del Mali suscitò desideri di conquista. Prima i marocchini, superiori militarmente per il possesso delle armi da fuoco, e poi i francesi della grande avventura coloniale, ebbero facilmente ragione di una civiltà a tecnologia più arretrata, allo stesso modo in cui i Malinké, grazie all'uso delle armi di ferro e della cavalleria, avevano secoli prima sottomesso i popoli circostanti.

La più famosa delle sue città fu certamente Timbuktù, conosciuta per secoli come "la città dell'oro". Nell'Ottocento essa divenne il sogno di molti esploratori, ma il periodo della sua maggior prosperità commerciale era stato lungo il sec. XVI. La città era allora ricca di palazzi e moschee e ospitava una grande Università. Poca gente vi abitava in permanenza, ma durante la stagione calda vi "parcheggiavano" oltre 5000 dromedari. Era una città di "facili fortune", abitata da commercianti che si erano fatti da soli la propria ricchezza. Aveva quartieri separati per gli arabi, i bela, i tuareg, ma nel periodo di suo maggiore splendore non fu mai difesa da mura.

Alla fine del sec. XV I'impero del Mali andava sfaldandosi. I Peul, i Wolof e altri gruppi etnici tendevano a rendersi indipendenti. Ormai l'antica grandezza si era divisa in tre regni, da Gao la dinastia degli Askia arrivò a minacciare direttamente il cuore dell'impero e nel 1545, ne occupò per due settimane la stessa capitale.

I marocchini si spinsero a sud sino alla città di Djenné, grazie alla superiorità assicurata loro dalle armi da fuoco comprate ai portoghesi. Anche il Songhaï, nel 1591, dovette cedere di fronte all'invasione, dal nord, delle armate marocchine.

La fine dei grandi imperi e i regni nazionali

Nel Mali, alla fine del sec. XVI, i Bambara o Bamanan ("gli uomini del coccodrillo"), provenienti dalla regione di Djenné, si stabilirono a monte della confluenza del Bani nel Niger e nel corso del secolo successivo fondarono il regno di Segù, sotto la dinastia dei Coulibaly (Kulubaly).

Biton Kulubaly

Tighitòn Kulubaly nacque a Niamina nella prima metà del sec. XVII. Sua moglie, la principessa Sulu Suko, ebbe un figlio, Biton, all'età di 50 anni, nel 1712. Il nome del fanciullo, fondatore della dinastia bambara, deriverebbe dall'esclamazione di meraviglia del padre alla notizia che la moglie era gravida. Grande cacciatore, egli andò a installarsi sulle rive del Niger, presso un albero di karité, dove sorse la città di Segù (da si koro, "vecchio karité"). Secondo un'altra leggenda, Biton sorprese nottetempo il genietto delle acque che veniva a rubare nell'orto di sua madre e questi, per ingraziarselo, lo condusse in fondo al fiume e lo presentò alla propria mamma. Gli esseri fantastici promisero a Biton un vasto impero e la madre del genio gli mise una goccia del proprio latte in ciascun orecchio, il che lo rese capace di percepire tutti i segreti, anche i più nascosti. La realtà storica fu che i Bambara seppero organizzare un potente esercito, basato su una società di tipo associazionistico (ton), strinsero alleanze con i popoli vicini, in primo luogo con i pescatori Bozo, il cui animale totemico (il pesce) giustificherebbe la leggenda, e fondarono un regno intorno alle sponde del fiume Niger. Nel 1645 i Bambara si allearono ai Peul del Macina per destituire l'ultimo re del Mali, mansa Magan, poi sottomisero i Soninké di Kirango e presero la capitale dei Massassi.

Biton morì nel 1755. Suo figlio Dinkoro fu un crudele tiranno e si fece assassinare dopo soli due anni di regno. La stessa fine fece suo fratello Ali, musulmano fervente, che voleva abolire i culti animisti e proibire le bevande alcooliche. Seguì un periodo di anarchia, sinché nel 1766 Ngolo Diarra, uno schiavo affrancato da Biton, che ne aveva poi sposato la figlia, si impadronì del potere. Ngolo fu capace di estendere il regno sin oltre Timbuktù, si impadronì di Djenné (1792-95) e tentò di conquistare il paese Mossi, ma morì nel corso dell'impresa, all'età di 90 anni.

I due regni bambara di Segù e del Kaarta rimasero rivali a lungo.

Pubblicato 18/07/2011 22:43:42