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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Alberto Arecchi

TORRI DEL VENTO, CORTILI E GROTTE: meglio del climatizzatore?


La climatizzazione artificiale è divenuta sempre più comune, non solo nei luoghi di lavoro ma anche nelle abitazioni. Voci critiche si levano però, anche sulla grande stampa, contro gli effetti dannosi dell’aria condizionata artificiale. Secondo una statistica pubblicata qualche anno fa dal World Energy Statistics, ogni americano consuma, solo per l’aria condizionata, più energia elettrica di quanta ne sia disponibile per soddisfare la totalità dei bisogni di quattro abitanti della Cina durante lo stesso arco di tempo.
L’aria condizionata artificialmente può essere terribilmente dannosa per la salute, perché provoca la formazione di strati d’aria freddi al livello del pavimento.
Il risultato: testa calda e piedi freddi, con la possibilità di conseguenze anche gravi per la circolazione sanguigna e per la respirazione.
La stampa specializzata ha sottolineato rischi anche peggiori, dovuti agli effetti sulla circolazione degli sbalzi eccessivi di temperatura tra ambiente esterno ed interno, o anche ai germi che possono installarsi nei filtri dell’aria, sino all’ormai celebre “morbo del legionario” che può colpire in forma letale le vie respiratorie. Ecco perché non possono essere ignorati o sottovalutati studi e ricerche per le soluzioni di benessere ambientale cosiddette “dolci” o “passive”, ossia che non comportino spreco energetico. Sono pochi coloro che li considerano ancora come si trattasse soltanto del solito “pallino” di qualche appassionato delle soluzioni alternative. Esiste una saggezza - a volte millenaria - che può offrire soluzioni semplici ed esemplari, economiche e prive di danni per la salute. Alle diverse latitudini, in ogni epoca, l’architettura ha sempre protetto l’uomo dalle avversità climatiche, grazie alle opportunità fornite dai siti naturali e dai materiali locali.
Nei differenti climi, si tratta di difendersi dalle piogge, dal caldo o dal freddo, dall’umidità eccessiva o dal troppo secco, dall’insolazione diretta, dal vento, oltre che dalla salinità e dall’aggressione di agenti chimici naturali (al giorno d’oggi anche dagli inquinamenti di natura industriale). Gli edifici devono resistere anche agli assalti della fauna e della vegetazione, particolarmente nocivi in certi climi (termiti, animali da preda, muffe, aggressività chimica di certi detriti vegetali, ecc.). Nel deserto o presso il Polo, i problemi di climatizzazione e di benessere ambientale sono stati affrontati per secoli senza ricorrere né a materiali d’importazione, né alle costose tecnologie odierne.
Il benessere ambientale non dipende soltanto dalla temperatura dell’aria, ma anche dall’umidità e dalla velocità di movimento dell’aria stessa. Con questi tre componenti si costruisce il cosiddetto “diagramma di benessere”. Esso mostra una zona centrale, in cui il benessere ambientale è assicurato, e suggerisce i correttivi per le situazioni al contorno, squilibrate rispetto alle esigenze del corpo umano.
La disposizione dei gruppi di abitazioni è la prima scelta che permette di limitare o sfruttare la presenza del sole e del vento (a seconda che si desideri fare scudo contro i loro eccessi o potenziarne gli effetti) e di drenare le acque. Gli edifici possono proteggersi a vicenda contro gli eccessi di radiazioni solari, o essere di­sposti in modo da migliorare la ventilazione e la luminosità interne. Ad esempio, il tracciato delle classiche vie tortuose delle città mediterranee crea zone d’ombra, favorisce e incanala, ove occorra, brezze rinfrescanti, mentre frena i venti di tempesta.
L’architettura dei paesi mediterranei ha sviluppato la casa “a patio”, raccolta intorno a un cortile centrale coi lati porticati, mentre nei climi subtropicali umidi le abitazioni consistono di diversi locali distinti, ciascuno a corpo unico, con tetti fortemente sporgenti che proteggono un corridoio perimetrale esterno, o spesso una veranda. Certi suq (mercati arabi) e certe vie o piazzette in area mediterranea (Spagna, Italia, Grecia), offrono esempi di spazi pubblici coperti, con teli, stuoie o cupole, per proteggere uomini e merci dagli eccessi del sole estivo. La scelta dei materiali, infine, garantisce contro le infiltrazioni delle piogge o delle acque di falda, assicura la protezione dal vento e/o la ventilazione dei locali interni.
L’architettura tradizionale dei paesi caldi ha scoperto i giochi delle aperture, dei cortili in ombra, i camini per captare il vento o per aspirare verso l’alto l’aria calda. Guardiamo esempi come le “torri del vento” iraniane, i malqaf egiziani, le musharrabia (graticci per filtrare la luce esterna e proteggere da sguardi estranei). La ventilazione appare, in tali climi, come un’esigenza fondamentale, ma occorre ventilare quando l’aria è fresca, non quando la temperatura esterna diviene insopportabile.
La massa termica delle costruzioni si concentra, di solito, intorno agli elementi orizzontali: da qui nasce l’esigenza di ventilare abbondantemente i solai (soffitti e pavimenti). Occorre evitare la formazione di sacche d’aria calda, tra le architravi di porte e finestre ed il soffitto. Se la massa d’aria soprastante le porte ristagna, può creare un vero “materasso caldo’, che accumula tutto il calore prodotto nella stanza. La ventilazione naturale richiede aperture a pochi centimetri dal suolo o dal soffitto, in modo da muovere l’intera massa d’aria del locale.  Ancora più marcato può essere tale effetto in locali coperti a cupola, nei quali non si sia praticata nessuna apertura alla sommità, per la formazione di quel “materasso” d’aria calda di cui abbiamo appena parlato.
Nell’alto Egitto si sfrutta abitualmente, per rinfrescare gli ambienti, l’evaporazione dell’acqua attraverso le pareti porose di grandi recipienti di terracotta, simili alle nostre giare, chiamati maziara. In un clima secco come quello egiziano, basta porre una maziara in una corrente d’aria, provocata grazie ad uno studio accurato delle zone calde e fredde della casa, per ottenere l’umidificazione dell’aria ambiente ed un suo sensibile raffreddamento. Mentre la temperatura esterna varia, durante la giornata, da 19°C a 36°C, quella dell’acqua si mantiene relativamente costante, intorno ai 20°C. Così, una sola maziara produce un raffreddamento equivalente a 1.700 chilocalorie al giorno, e a 165 chilocalorie all’ora (circa 192 watt) nei momenti più caldi della giornata. L’uso della maziara, accoppiata coi condotti di ventilazione, permette di ottenere una climatizzazione gradevole e priva degli effetti dannosi dell’aria condizionata artificialmente. L’architetto egiziano Hassan Fathy, nel suo progetto degli anni ‘50 per il villaggio egiziano di Qurna al-Jadida (la nuova Gurna), ha impiegato i malqaf, captatori di vento, provvisti di una chicane (quasi una serpentina di raffreddamento) nella quale l’aria si umidifica, passando su letti di carbonella di legna umida, in sostituzione delle maziara tradizionali. Il raffreddamento della temperatura interna così ottenuto è di circa 10°C.

Mesa Verde
Mesa Verde (dal libro: La casa nella roccia).

LE SOLUZIONI TRADIZIONALI

Mesa Verde

L’insediamento di Mesa Verde, nel Colorado, risale al nostro sec. XIII. Incassato in un anfratto roccioso ed esposto a sud, esso è al riparo dai raggi cocenti del sole in estate, mentre i raggi invernali, più bassi, lo riscaldano. Inoltre, la massa rocciosa a cui si addossa funziona come un accumulatore termico. Il risultato è una situazione costante di benessere termico, per tutto l’anno. Durante le giornate il popolo degli Anasazi, costruttore della città di Mesa Verde, viveva all’interno del kiva, ambiente circolare coperto, che poteva essere riscaldato da un focolare centrale e possedeva un sistema di ventilazione naturale. L’aria calda del focolare, salendo, aspirava un flusso d’aria fresca dall’esterno, grazie allo studio accorto delle aperture di ventilazione. Mesa Verde propone il tema della “architettura solare” in un’architettura di 700 anni fa.

I còvoli di Costozza

A Costozza, sulle pendici dei monti Berici, una decina di chilometri a sud di Vicenza, sei ville costruite in varie epoche, a partire dal 1550, sfruttano lo stesso sistema di raffreddamento. I locali interni sono collegati a cavità e condotti sotterranee, naturali ed in parte anche artificiali, chiamati “còvoli”, che forniscono d’estate l’aria fredda necessaria a climatizzare l’ambiente. La temperatura dell’aria nei còvoli si aggira intorno agli 11-12°C durante tutto l’anno. I ventidotti, o canali di ventilazione, che collegano i còvoli alle ville di Costozza, sono lunghi sino a qualche centinaio di metri, e vanno a sboccare nelle cantine. Da qui, l’aria fresca penetra nei locali d’abitazione attraverso rosoni di marmo traforati, posti nei pavimenti.
L’aria si rinfresca così di una decina di gradi, e in un caso si è misurata addirittura una temperatura interna di 16°C quando l’aria esterna era a 33°C. Il sistema di raffrescamento delle ville di Costozza era così famoso che persino il Palladio, nei suoi “Quattro Libri dell’Architettura”, ne parlò diffusamente.

baud geer
Una baud geer.

Le torri del vento (Iran)

In Iran ed in Pakistan, l’architettura tradizionale impiega le baud geers (letteralmente: “acchiappa vento”), sin dal decimo secolo. Si tratta di specie di torri o camini, che contengono al proprio interno diversi condotti verticali. Sfruttando la pressione prodotta dalle correnti d’aria presenti ad una certa quota, la torre procura frescura e benessere all’interno dell’edificio anche nei momenti più caldi della giornata.
Oggi, nel Marocco meridionale, il sistema delle torri del vento è ritornato in auge, grazie all’iniziativa di un architetto che le ha adattate alle nuove ville dei ricchi locali. Gli “acchiappa vento” vengono spesso combinati con i tetti a cupola. Infatti, l’aria calda sale più in alto in uno spazio a volta, e la zona ad altezza d’uomo rimane più fresca. Inoltre, la cupola, avendo una maggior superficie radiante sulla stessa pianta, rispetto ad un tetto piano, riceve la stessa radiazione solare, ma disperde meglio il calore durante la notte.

torri del vento
Altre torri del vento.

Le fontane

I cortili dell’architettura mediterranea sono conosciuti, almeno sin dal Medioevo, come un utile modo di rinfrescare le case. Quando il clima è particolarmente secco, l’architettura araba e moresca ricorre alle fontane o ai canali d’acqua circolanti fra patios e giardini. Nell’architettura moresca, in particolare, il cortile si comporta come un pozzo che raccoglie l’aria fresca della notte e la mantiene, sinché il sole non giunge a perpendicolo. In un palazzo con due cortili, uno più ampio e basso e l’altro più stretto e profondo, si crea così un flusso di aria fresca, attraverso gli ambienti intermedi, nelle ore più calde e torride della giornata. Questo sistema era in uso in molti edifici del mondo islamico in particolare nei palazzi signorili della Casbah di Algeri. Le case della vecchia Algeri non hanno fontane all’interno, poiché l’aria è troppo umida (da 70% a 90% di umidità relativa, a seconda delle stagioni). Ma altrove, l’amore dei costruttori arabi per le fontane non era un semplice fatto estetico. Sin dai secoli passati, la fontana nel cortile ha garantito il raffreddamento e l’umificazione dell’aria che entra nelle stanze d’abitazione. Spesso l’impiego di materiali da costruzione porosi, come la terra cruda, ha lo scopo preciso di rinfrescare l’ambiente per evaporazione, aspirando umidità dal terreno (esattamente l’opposto di quanto ci si può proporre, ad esempio, in Val Padana).

CONCLUSIONI

Di fronte a tutte queste abili soluzioni, già scoperte e sviluppate dai costruttori tradizionali di diverse latitudini, si rischia a volte di pensare che “tutto sia già stato scoperto” e che basti guardare al passato. Certamente, le soluzioni offerte dall’architettura tradizionale possono anche oggi indicare la metodologia per affrontare alcuni problemi costruttivi o di climatizzazione, senza ricorrere a grandi consumi energetici, ma unicamente con un migliore sfruttamento dei fattori naturali (correnti d’aria, evaporazione d’acqua o d’altri liquidi, inerzia termica propria dei materiali da costruzione).
I laboratori di tecnologia applicata conoscono oggi un momento di diffusione, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, ma anche presso quegli organismi del mondo industrializzato che si occupano di cooperazione allo sviluppo. La preoccupazione principale di tali laboratori è quella di elaborare una tecnologia adattata alle realtà socio-economiche ed ecologiche ed alla limitatezza di risorse con le quali occorre fare i conti nei Paesi in via di sviluppo (ma non solo in quelli). Anche in Italia, nel campo delle costruzioni, esistono alcuni gruppi, che operano in contatto stretto con gli ambienti del volontariato e della cooperazione allo sviluppo.

NOTE BIBLIOGRAFICHE
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Pubblicato 31/03/2008 15:04:14