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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Giacinto Romano

PAVIA NELLA STORIA DELLA NAVIGAZIONE FLUVIALE

(1911)

Non v’è persona, anche mediocremente colta, che ignori la grande, importanza che hanno avuto i fiumi nella storia. Le più antiche civiltà sono sorte sulle rive dei fiumi, e, senza uscire dall’Italia, la relativa prosperità economica che ha goduto in ogni tempo la Lombardia sarebbe incomprensibile se non si tenesse conto della fitta rete di vie fluviali che, mettendo capo alla via maestra del Po, ha fatto di questo fiume una delle principali arterie del commercio continentale europeo. La storia di Firenze sarebbe anch’essa incomprensibile, se non si tenesse conto dell’Arno, lungo le cui rive essa venne svolgendo la sua potenza finché, con l’assoggettamento di Pisa, si pose definitivamente in diretta relazione coi paesi del Mediterraneo (1). Ed incomprensibile sarebbe altresì la storia romana antica, se. sfrondata di tutte le sue leggende, prescindesse dalla posizione di Roma sul Tevere, che la pose di buon’ora in diretta comunicazione con l’Umbria e con l’Etruria, da un lato, dall’altro col mare, e rese possibile la formazione di una classe mercantile che fu parte non piccola del ceto plebeo. Fin dalla più remota antichità i Romani fecero del Tevere una via navigabile; per quella via, anche, prima che dal mare, vennero a Roma le vettovaglie destinate al nutrimento dei cittadini; e che la navigazione fluviale abbia realmente preceduto quella marittima è dimostrato dal fatto che la parola nave (navis) è di origine greca, laddove linter, con cui s’indicava la zattera da fiume, è di conio perfettamente latino. Della navigabilità del Tevere i Romani ebbero sempre grandissima cura; un particolare magistrato vegliava stilla buona conservazione del letto del fiume e delle sue rive (Comes riparum et alvei Tiberis) ed è noto che Giulio Cesare, per rendere più proficuo il commercio del Tevere, ideò di deviarne il corso inferiore, trasportando la foce da Ostia a Terracina (2).

Né solo il Tevere era navigabile nell’antichità, ma anche in generale tutti gli altri fiumi dell’Italia centrale c settentrionale, solo che il corso fosse appena considerevole. E la ragione di questo fatto s’intende facilmente, se si pensa che, essendo il paese irto di selve e sparso di paludi, la popolazione era assai scarsa, e i rari aggruppamenti umani, per mancanza di strade, non potevano comunicare tra loro che per le vie fluviali (3). Certo i Romani furono grandi costruttori di strade; ma non si deve dimenticare che le strade do’Romani ebbero specialmente uno scopo militare; commercialmente poco potevano servire a causa della mancanza di sicurezza, che esponeva le persone e le merci a continui pericoli (4).

Gli antichi scrittori ci hanno lasciato non poche notizie sui fiumi navigabili del nostro paese. Oltre al Tevere, troviamo ricordati come tali l’Arno, l’Oglio, il Mincio, l’Adige, il Ticino e specialmente il Po, la cui vasta corrente offriva ai naviganti condizioni particolarmente favorevoli. Sulle rive di questi fiumi, come su quelle de’ laghi, sorsero ben presto tanti centri di attività commerciale, la cui importanza è attestata dalle iscrizioni, che parlano assai spesso di navicularii amnici, battellieri di fiumi o di laghi, riuniti in corporazioni o collegi, la cui organizzazione aveva stretti rapporti con l’annona, per assicurare l’approvvigionamento di Roma e dell’Italia, che fu in ogni tempo precipua cura dello Stato romano (5).

Essendo i fiumi le vie di comunicazione più comode e più sicure, non deve far meraviglia se di buon’ora si sentì il bisogno di un servizio regolare di navigazione. Sidonio Apollinare, scrittore del V secolo, s’imbarcò sul Ticino sopra una nave–corriera (cursoria), che lo trasportò per tutto il corso del Po, ed anche più oltre, fino a Ravenna (6). Ennodio, il famoso vescovo ticinese, essendogli morta una sorella, non si sa se a Ravenna o in qualcuna delle città padane, affrontò la navigazione del Ticino e del Po in un giorno d’inondazione e di cattivo tempo, viaggio che egli descrive in quello stile gonfio, che è una delle principali caratteristiche delle sue opere (7). All’esistenza di un servizio regolare di navigazione tra Pavia e Ravenna accenna una lettera di Cassiodoro, nella quale Teoderico ordina al capo della guarnigione gotica in Ticino di mandare a Ravenna alcuni goti spesati per cinque giorni; il che fa supporre che la distanza fra le due città fosse percorsa in cinque giorni (8). Tale servizio di navigazione si venne col tempo perfezionando. Sappiamo infatti che nel X secolo Liutprando, lo storico, impiegò soli tre giorni per andare da Pavia a Venezia (9), e si potrebbero addurre altri esempi per dimostrare che, specialmente in discesa, il viaggio dei Ticino e dei Po si faceva con una notevole rapidità.

Le notizie che si hanno sul commercio fluviale dopo il VI secolo e per tutto il VII e parte dell’VIII sono scarsissime. Fu quello un periodo tristissimo pel nostro paese, prima per la guerra grecogotica durata circa vent’anni, e poi per L’invasione dei Longobardi, cui seguirono molti decenni di oppressioni e di rovine (10). Nel sec. VIII, cessate le guerre tra Longobardi e Bizantini e ristabilite le condizioni generali di sicurezza, anche il commercio rifiorì. E rifiorì specialmente nell’Alta Italia, dove la ricchezza delle vie fluviali rendeva più facili le comunicazioni e gli scambi. I primi a percorrere la via del Po e a ravvivare la pratica mercantile furono i Veneziani e i Comacchiesi. Gli uni commerciavano specialmente in stoffe e pietre preziose e spezie ed altri prodotti orientali, che venivano per la via di Costantinopoli; gli altri avevano il monopolio del sale, che estraevano in gran copia dalle loro saline. Il più antico documento che possediamo su questo commercio fluviale è una specie di trattato di commercio e di navigazione tra Liutprando e Comacchio del 715, in cui erano fissate le norme con cui i Comacchiesí dovevano esercitare il loro commercio lungo i porti del Po e stabiliti i dazi a cui erano soggetti. In questo documento è ricordo dei più antichi porti esistenti lungo la linea padana: il porto mantovano e quello del Mincio (Caput Mincii), i porti di Brescia, di Parma, di Cremona, di Piacenza e del Lambro. In tutti questi porti esistevano funzionari regi incaricati di riscuotere i dazi, che, per essere assai miti, favorivano gli scambi e li resero, fin dall’VIII secolo, molto attivi (11). I nomi di quei porti meritano la nostra attenzione; essi richiamano alla memoria le città che si elevarono a grande potenza all’epoca del Comune (12), perché la pratica commerciale diede origine al formarsi di una classe mercantile, tra cui quei negotiatores, che non a torto sono considerati come il nocciolo del futuro svolgimento della borghesia comunale.

Il trattato del 715 può considerarsi come la rnagna charta della navigazione fluviale nell’Alto M. E. 1 Veneziani non tardarono a sostituirsi ai Comacchiesi nel dominio commerciale della valle del Po, e i patti da loro stipulati coi sovrani carolingi e poi coi re d’Italia per tutto il corso del IX e del X secolo (13) provano l’importanza che essi annettevano alla libertà di navigazione che veniva loro accordata in tutta l’estensione del Regno.

Nel documento che abbiamo esaminato di Pavia non si parla. Nondimeno essa acquistò subito uno dei primi posti nel campo delle relazioni fluviali. Sappiamo infatti che i Veneziani venivano al suo mercato fin dall’VIII secolo, e poi, sul loro esempio, vi vennero; probabilmente, anche gli Amalfitani (14). I Pavesi, alla lor volta, fin dall’anno 800 navigavano la corrente del Po per andare a Comacchio a provvedersi di sale; anzi a Comacchio il monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro possedeva delle saline di sua proprietà (15). La speciale importanza acquistata da Pavia nella navigazione fluviale dipendeva non solo dalla sua posizione, che la metteva in diretta comunicazione col Lago Maggiore e con l’Adriatico (16), ma anche dal suo grado di centro politico e sede dell’amministrazione del Regno Italico. A Pavia si tenevano le assemblee o concilii nazionali; qui convenivano vescovi ed abati e grandi laici per trattare con la corte; di qui passavano molti stranieri e pellegrini diretti a Roma, che sostavano volentieri nella città nostra per visitarne le basiliche rinomate o venerarvi le reliquie, che la pietà de’re longobardi aveva raccolto nei secoli anteriori. Si aggiunga che in quel tempo essendo i vescovi e gli abati i più grandi proprietari di terre, per smerciare i loro prodotti ne tenevano deposito in Pavia, dove o li facevano vendere sul mercato, o per mezzo di proprie barche li facevano trasportare altrove, agli altri mercati esistenti lungo le vie del Ticino e del Po. Pavia quindi presentava allora un aspetto assai animato. Essa appariva come un fitto conglomerato di case di legno e di pietra, con numerose botteghe o stazioni, dove si vendevano i prodotti naturali e manifatturati di tutte le parti di Lombardia. Il suo mercato della seta era forse il più importante della valle padana. Centro di tutta quell’attività economica era il palazzo reale, dove per conto dell’amministrazione si fabbricavano e si vendevano tele e tessuti e si raccoglievano l’olio, che veniva dal lago di Como, ed altri prodotti provenienti dalle terre della corona. Il Ticino, popolato di porti e solcato da barche dirette verso il Po o verso il Lago Maggiore, era la via naturale di tutto quel movimento commerciale, che formava la ricchezza della città e sostentava una numerosa popolazione di artigiani e di mercanti, tanto che un cronista del X secolo non dubitò di paragonarla, per l’opulenza dei traffici, a Tiro e a Sidone (17).

Tale stato di cose durò circa tre secoli, tra l’VIII e il XI, un periodo che possiamo chiamare pavese della navigazione fluviale, e che corrisponde a quello in cui Pavia fu la città politicamente più importante del Regno Italico. A datare dal sec. XI le cose cambiano aspetto. Pavia non è più il centro politico del Regno: col sorgere del Comune si formano tanti centri, quante sono le città, e fra queste Milano primeggia di buon’ora per il numero dei suoi abitanti e la potenza sempre crescente della sua borghesia industriale e mercantile. Da quel punto una fiera lotta s’ingaggia tra Milano e le vicine città di Pavia., Como, Lodi. Sono guerre che hanno un carattere essenzialmente economico, perché nascono dal bisogno che il Comune milanese sente di espandersi a spese dei vicini, per impadronirsi delle vie commerciali e avvicinarsi ai grandi mercati di esportazione: Genova e Venezia. In questo atteggiamento che assume Milano di fronte a’Comuni limitrofi, la navigazione fluviale, strettamente collegata con le esigenze dei commercio, entra come elemento essenziale. Se non che, rispetto alla navigazione fluviale, Milano si trovava in condizione assai più svantaggiosa di altri Comuni lombardi (18). È vero che le grandi vie dell’Alta Italia e quelle provenienti dalla Francia e dall’Europa Centrale s’incontravano sotto le sue mura; ma Milano non aveva il beneficio della vicinanza di un fiume, che la mettesse in diretta comunicazione col Po e coi laghi Maggiore e di Como. Trovare, quindi, un mezzo di giungere al Po e per esso all’Adriatico; avvicinarsi a’laghi mediante vie dirette di comunicazione destinate a rendere più facili e più rapidi gli scambi; abbreviare il più possibile la distanza da Genova, il cui porto era lo sbocco naturale dei prodotti lombardi: ecco i problemi che Milano si propose fin da quando, per la vittoria sul Barbarossa, ebbe chiara coscienza del suo grande avvenire economico, e alla soluzione di quei problemi si collegano essenzialmente le sue guerre e le sue alleanze, che condussero col tempo, prima sotto il Comune, poi sotto i Visconti, all’assoggettamento politico dei paesi vicini (19). E con gli stessi problemi si collega l’opera sapiente di canalizzazione, con cui Milano, correggendo gli svantaggi della sua posizione, cercò di mettersi in diretta comunicazione col Po, col Ticino e con L’Adda; donde i progressi raggiunti dai Milanesi nell’ingegneria idraulica e portuale, in cui la loro industre attività si affermò in modo meraviglioso.

Senza risalire a tempi più antichi (20), il primo serio tentativo fatto da Milano per aprirsi una via fluviale fino al Po rimonta al secolo XII. È di questo tempo la costruzione di un naviglio che da Porta Tosa andava fino a Monluè sul Lambro. Su questo fiume il monopolio della navigazione era tenuto da’ Piacentini, i quali risalivano la corrente sino a Salerano, che era come il porto di Lodi, e dove. pagavano un pedaggio di 5 soldi. Ma questa situazione cambiò radicalmente quando, distrutto Lodi vecchio, la città nuova fu spostata più ad oriente, sulla riva destra delL’Adda. Federico Barbarossa concesse alla nuova città l’esclusività del porto sull’Adda e l’immunità commerciale su tutti i fiumi di Lombardia. Così i Lodigiani si allontanarono definitivamente dalla navigazione del Lambro, non solo, ma ebbero interesse di avversarla contro i Piacentini e contro i Milanesi, per costringere i loro rivali a far capo al proprio porto sull’Adda e servirsi esclusivamente della navigazione di questo fiume. Dopo varie vicende guerresche i Lodigiani riuscirono pienamente nel loro intento. Nel trattato di pace stipulato nel 1198 i Milanesi si obbligarono a servirsi del porto dell’Adda e a non percorrere altra via fluviale che questa per le merci destinate al Po e alle sue adiacenze, Così il canale di porta Tosa fu abbandonato e servì solo ai bisogni dell’irrigazione (21).

Fallito il tentativo di aprire una via diretta fino al Po, Milano tentò di mettersi in comunicazione col Lago Maggiore mediante un canale. Fu questo il Ticinello o naviglio di Gaggiano, detto più tardi Naviglio Grande, costruito nel sec. XIII al tempo di Napoleone Torriani. Sull’origine prima di questo canale le opinioni non sono concordi (22); ma è un fatto che il Naviglio Grande divenne presto navigabile, con grande vantaggio dei Milanesi, i quali poterono attirare nella loro città buona parte del commercio del Lago Maggiore, e con non minore dell’agricoltura, per le derivazioni d’acqua che se ne fecero e che servirono a scopo irrigatorio.

Colla costruzione del Naviglio Grande Milano risolveva indirettamente anche il problema delle sue comunicazioni col Po e con l’Adriatico. Se non che, da questo lato, la soluzione urtava contro l’ostacolo di Pavia che dominando, a valle, le due rive del fiume, ora la vera chiave delle comunicazioni col Po e con le vie fluviali dell’Italia superiore (23). L’assoggettamento di Pavia a Milano divenne, quindi, una necessità non solo per i rapporti con Genova (24), ma anche ne’riguardi nella navigazione fluviale, il cui problema riassumevasi per i Milanesi nel trovare una via più spedita per giungere al Po e quindi a Venezia e agli altri porti dell’Adriatico. Il problema fu risoluto nel 1359, quando Pavia cadde in potere di Galeazzo II, e non deve perciò far meraviglia che uno de’ primi atti del Visconti sia stato quello di costruire un canale navigabile da Milano a Pavia (diverso dall’attuale), che rimase per molto tempo aperto al trasporto delle merci fra le due città.

È noto che L’attività canalizzatrice di Milano non si arrestò a questo punto. Più tardi, sotto gli Sforza, fu costruito il naviglio della Martesana, che unì Milano all’Adda, e al principio del sec. XVI, regnando Francesco I, fu ideato un altro canale che doveva porla in più diretta comunicazione col lago di Como. Questo canale doveva cominciare a Brivio e giungere fino alla metropoli lombarda per la via di Trezzo (25).

Ma i nostri fiumi non ebbero soltanto una funzione commerciale, ma anche militare e guerresca. Già fin dall’XI secolo, quando i privilegi della feudalità laica ed ecclesiastica vennero alle prese con la forza conquistatrice de’ Comuni, la navigazione fluviale formò oggetto di contestazioni e di controversie. Invano l’Impero si sforzò nella dieta di Roncaglia del 1158 di richiamare all’autorità dello Stato i diritti pubblici intorno alle acque; questi rimasero in potere delle cittadinanze in virtù delle autonomie comunali, e furono difesi strenuamente contro gli antichi feudatari, contro i monasteri e le chiese ed anche contro i Comuni limitrofi (26). Così, quando le guerre municipali divennero quasi permanenti a datare dal XII secolo si combatté egualmente per terra e per acqua: nelle città rivierasche dei grandi fiumi sorsero darsene e si fabbricarono navigli da guerra. Ferrara, Mantova, Cremona, Piacenza, Pavia si segnalarono specialmente in questo nuovo campo di attività: Pavia più di tutte. Le più antiche memorie di un arsenale e di una darsena destinati ad accogliere il naviglio guerresco risalgono in Pavia al secolo XIII. Essi erano situati dove sono i giardini e le marcite del Collegio Borromeo, e comunicavano col Ticino per mezzo di una porta fortificata, sbarrata da una pesante catena (27).

Non sapremmo dire con precisione a che numero di navi ascendesse l’armata pavese. Sappiamo però, per testimonianza dei cronisti, che era assai rilevante. Delle navi, alcune erano lunghe, acute e velocissime al corso e si chiamavano scancerie o ganzerre, altre più pesanti dette incastellate, dal castello di poppa capace di contenere un buon numero di armati. Del loro impiego e della tattica navale non siamo bene informati. Sembra però che le ganzerre fossero impiegate sopratutto nelle esplorazioni e nella corsa contro le navi nemiche. e le incastellate servissero al trasporto di vettovaglie e truppe da sbarco, che dopo aver dato il guasto alle terre del nemico, tornavano a bordo con prede e prigionieri.

Francesco Petrarca, in una lettera a Francesco Bruni del 1368, descrive l’avventuroso viaggio che egli fece in quell’anno, navigando il Ticino e il Po, per tornare a Padova; e quella lettera è una viva rappresentazione delle sue impressioni personali e dell’aspetto che prendevano i nostri fiumi in tempo di guerra. Dopo aver narrato le difficoltà della partenza, perché nessun battelliere era disposto a noleggiargli una barca. temendo i pericoli della guerra: «Ad ogni tratto, egli scrive, ci scontravamo con. flottiglie armate, che scorrevano il fiume, con armate schiere, che guarnivan le sponde: tremavano, impallidivano i servi: io solo sempre mi feci innanzi intrepido e inerme, e non solamente salvo, ma sempre con onoranza fui lasciato passare, mentre tutti dicevano che, da me infuori, nessuno certamente sarebbe andato sicuro. In somma, dove nessuno avrebbe osato inoltrarsi senza certezza di essere o preso o ucciso o almeno spogliato, io vidi colmarmisi la barca di bottiglie, di cacciagioni, di poma, d’ogni specie regali, per guisa che non alcun’angheria, ma solo la cortese ospitalità di quelle soldatesche mi fece andar lento in quel pacifico mio viaggio» (28).

I Pavesi acquistarono subito una grande reputazione in quel genere di guerra: lo attestano i cronisti contemporanei, uno dei quali, l’Azario, dice che in acqua i Pavesi erano invincibili (29). Quando Pavia cadde in potere dei Visconti, questi ne fecero la prima stazione navale del loro Stato, e da Pavia e dal suo arsenale partirono le armate ducali che, lungo il XV secolo, gareggiarono a più riprese contro i Veneziani e, il più delle volte, con prospera fortuna. In quelle guerre si segnalarono in modo speciale alcuni pavesi della famiglia degli Eustachi, tra cui quel Pasino ricordato più volte, nei documenti, col titolo di Capitaneus ducalis navigii, che, si rese assai famoso per varie vittorie riportate sui Veneziani nel Po. Parecchie navi veneziane da lui catturate si conservavano nella darsena pavese, come trofei di guerra, ancora nell’anno 1515 (30).

Anche dopo, e fino al sec. XVII, si ha notizia di fazioni militari combattute sul Po; ma la funzione militare de’ nostri fiumi si può dire cessata nella seconda metà del quattrocento, quando i progressi dell’arte militare e più la cresciuta potenza delle artiglierie tolsero ai navigli fluviali ogni importanza come arnesi di guerra.

Con la fine degli Sforza si chiude il periodo classico della navigazione fluviale in Lombardia. 1 danni della dominazione spagnola, improvvida e dissanguatrice, aggravati dalla terribile crisi economica prodotta dalla scoperta dell’America, avviarono il paese ad una irreparabile decadenza. A poco a poco diminuì la popolazione, tacquero i telai, si chiusero le fabbriche la mano d’opera, non trovando più impiego nel paese, andò all’estero in cerca di lavoro più remunerativo. Allora anche i traffici declinarono e la navigazione fluviale ne risentì necessariamente il contraccolpo. E se questa non cessò del tutto, fu perché essa presentava sempre, come mezzo di comunicazione, dei grandi vantaggi: i noleggi assai meno costosi in confronto delle comunicazioni terrestri, e la maggior sicurezza del viaggiar per acqua che per terra, le cui strade erano assai meno sicure pel cattivo servizio di diligenze e pel rifiorire del malandrinaggio (31).

Si può dire che l’ultimo segno di provvidenza da parte del governo, nei riguardi delle comunicazioni fluviali, sia dovuto a quel conte di Fuentes, governatore spagnolo in Lombardia, che al principio del XVII secolo spiegò una certa energia per scavare un nuovo canale navigabile tra Milano e Pavia in sostituzione di quello, oramai andato in disuso, costruito al tempo dei Visconti: poi tutto tacque e decadde. Il Po, il Ticino e gli altri fiumi lombardi rimasero però sempre aperti al trasporto delle merci e delle persone, e non è raro il caso che i documenti e gli storici ci parlino di principi e principesse che vanno per acqua da Torino a Venezia o a Ferrara, e talora anche di liete brigate viaggianti a diporto lungo il corso del Po.

Fra questi viaggi è degno di essere ricordato quello che fece il Goldoni da Pavia a Venezia, mentre era studente del Collegio del Papa (Ghislieri), durante le vacanze nel suo secondo anno d’Università (1724 ?). È una pagina assai pittoresca delle sue memorie giovanili, e crediamo di doverne riferire la parte più interessante.

“Aussi–tôt que la compagnie fut prête à partir, on m’envoya chercher. Je me rendis au bord du Tesino et l’entrai dans le bateau couvert, où tout le monde s’étoit rendu.

Rien de plus commode, rien de plus élégant que ce petit bâtiment appellé Burchiello, et que l’on avoit fait venir exprès de Venise. C’étoit une salle et une anti–salle couvertes on bois, surmontées d’une balustrade, éclairées des deux côtés, et ornées de glaces, de peintures, de sculptures, d’armoires, de bancs et de chaises de la plus grande commodité. C’étoit bien autre chose que la barque des Comédiens de Rimini.

Nous étions dix maîtres ot plusieurs domestiques. Il y avoit des lits sous la proue ot sous la poupe; mais on ne devoit voyager que de jour; on avoit de plus décidé qu’on coucheroit, dans de bonnes auberges, et qu’où il n’y en auroit pas, on iroi demander l’hospitalité aux riches Benedictins qui possèdent des biens immenses sur les deux rives du Po.

Tous ces Messieurs jouoient do quelqu’instrument. Il y avoit trois violons, un violoncello, deux haut–bois, un cor–de–chasse et une guitarre. Il n’y avoit que moi qui n’etoit bon à rien, j’en étois honteux et pour tâcher do réparer le defaut d’utilité, je m’occupois pendant deux heures tous les jours à mettre en vers, tant bons que mauvais, les anecdotes et les agrémans de la veille. Cette galanterie faisoit grand plaisir à mes compagnons de voyage, et c’étoit leur amusement et le mien après le café.

La musique étoit leur occupation favorite. A la chute du jour ils se rangeoient sur une espèce de tillac qui faisoit le toît de l’habitation flottante, et là, faisant retentir les airs de leurs accords harmonieux, ils attiroient do tous côtés les Nymphes et les Bergers de ce fleuve qui fut le tombeau do Phaéton.

Diriez–vous, mon cher lecteur, que je donne un peu dans l’emphase? Cela peut être; mais voilà comme je peignois daus mes vers notre sérénade. Le fait est, que les rives du. Po (appellé par le Poètes Italiens le Roi des fleuves) étoient bordées de tous le habitans des environs, qui venoient en foule nous entendre, les chapeaux en l’air et les mouchoirs déployés, nous faisoient comprendre leur plaisir et leur applaudissemens” (32).

Sotto la dominazione austriaca, che fu (da qualunque parte sia venuto l’impulso), un periodo di salutare risveglio delle forze economiche in Lombardia, la navigazione interna fu oggetto di seria attenzione da parte del governo. Appartiene a quegli anni tutta una fioritura di memorie, dissertazioni e progetti relativi alla canalizzazione delle acque, che fece fare molti progressi all’ingegneria idraulica e suggerì malinconiche riflessioni ad uno scrittore romano del tempo, il quale, grande fautore della navigazione del Tevere, contrapponeva l’industre attività dei Lombardi alla pigrizia e alla dappocaggine delle classi dirigenti di Roma e dello Stato Pontificio (33). Fra le tante pubblicate allora merita particolare menzione una elaboratissima memoria di Paolo Frisi (34) diretta nel 1772 all’Arciduca Ferdinando, governatore austriaco in Lombardia, riguardante un nuovo progetto di canale da Milano a Pavia reso indispensabile dalle nuove esigenze del commercio milanese e lombardo (35). Se non che i grandi avvenimenti occorsi in Italia dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese arrestarono quel movimento interno di rinnovamento economico, e solo più tardi, per impulso di Napoleone, i lavori del nuovo canale Milano–Pavia poterono essere ripresi e condotti a termine.

Le grandi feste con cui il 16 agosto 1819 fu inaugurata la grand’opera erano l’espressione della rinata fiducia dei Pavesi nel loro avvenire commerciale. Pavia aveva molto sofferto per le guerre di successione, che le avevano tolto la maggiore e miglior parte del suo territorio; né il trattato stretto da Maria Teresa con la corte Sarda il 4 ottobre 1751, col quale s’era cercato di attenuare le gravi conseguenze economiche di quegli smembramenti, era riuscito ad impedire i numerosi inciampi frapposti alla stia vita commerciale (36), a cui era indispensabile fondamento la libera navigazione del Ticino, del Po e del Lago Maggiore. « Libertà di navigazione » fu il motto d’ordine de’ Pavesi nel 1815 quando, ristabilito il dominio austriaco, il Magistrato locale mandò a Vienna il marchese Luigi Malaspina a patrocinare presso il Governo gl’interessi della città. Nelle istruzioni date al proprio inviato il Municipio deplorava che il trattato di Vienna del 1814 avesse «sottomesso a soverchie esigenze di sicurezza e di polizia fluviale e terrestre» la libera navigazione de’ fiumi, sui quali da secoli i Pavesi avevano esercitato i loro commerci: domandava che venisse dichiarato "franco" il Po da Torino al mare, il Ticino dal Lago Maggiore alla foce; e infine proponeva la formazione di una lega doganale e di navigazione tra gli stati ripuari, dal Lago Maggiore e da Torino all’Adriatico, con dazi abbastanza leggieri da favorire gli scambi e le relazioni commerciali (37).

L’applicazione della macchina a vapore alla navigazione parve, sul principio, chiamata a dare un nuovo impulso alle comunicazioni fluviali. A tal uopo si formò una Società d’azionisti, che costruì sei battelli a vapore per la navigazione lacustre e quella dei maggiori fiumi lombardi. A questi ultimi furono destinati due battelli, l’Eridano e il Virgilio, l’uno per il servizio regolare tra Venezia e Pavia, l’altro tra Venezia e Mantova. L’Eridano approdò la prima volta a Pavia nel giugno del 1820, percorrendo 360 miglia geografiche in 37 ore (38).

Interrotto per poco, a causa dei moti del 1821, poi ripreso, il servizio di navigazione continuò negli anni successivi. Nel 1844 la ditta Perelli e Paradisi di Milano allestì due vapori per la navigazione e i trasporti fluviali da Milano a Pavia e a Venezia; ma dopo pochi anni, caduta in sospetto del governo austriaco, cessò dall’impresa, e il monopolio della navigazione fluviale fu raccolto dal Lloyd austriaco, il cui servizio si estendeva da Trieste e da Venezia fino a Mantova, a Pavia e a Milano, abbracciando il trasporto di merci, di passeggeri, della posta e del sale. « Da quel tempo, scrive il nostro Vidari, le rascone pavesi, ossia le grosse ed antiche navi annonarie a corda e a vela, non gittarono l’ancora nelle acque del Borgo Ticino, né più issarono sulla maggiore antenna l’antica bandiera pavese – croce rossa in campo bianco – ormeggiando sulla destra del fiume nei dì festivi a valle del ponte » (39).

Il servizio del Lloyd austriaco durò fino al 1859. Poi cessò, e la navigazione a vapore sui nostri fiumi parve morta per sempre.

Ora essa accenna a risorgere; ma non per fare la concorrenza al traffico terrestre, sì bene per venire in suo aiuto come forza integrativa e sussidiaria. Nella nobile gara con cui Governo, Comuni e privati tendono a . ravvivare le assopite energie del nostro antico commercio fluviale, i maggiori vantaggi saranno, come in tutti gli altri campi dell’operosità umana, dei più volonterosi. Pavia, forte della sua posizione e del suo passato, Pavia, natural porto fluviale della metropoli lombarda, saprà, in questo campo, occupare indubbiamente uno dei primi posti.

NOTE

(1) Vedi specialmente VILLARI, 1 primi due secoli della storia di Firenze; Firenze, Sansoni, 1, 302 sg. – Voix E, Pisa, Firenze, Impero ai principi del 1300 in Studi Storici del Crivellucci, XI, 185 sg. – DOREN, Studien aus der Florentiner WirtschaftVeschichte, Stuttgart, 190 1. 1, 115. – SILVA, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti; Pisa, 1911, pag. 1 sg. (2) MOMMSEN, Römische Geschichte, 7 Aufl. 111, 518. (3) Cfr. BELOCU, Bevölkerung des griech. röm. Welt, 1886. – SALVIOLI, Sullo stato e la popolazione d’Italia prima e dopo le invasioni barbariche in Atti della r. Accad. di Palermo, 1899, p. 5 sg. (4) Questa mancanza di sicurezza fu una delle piaghe del M. E. a causa della imperfetta polizia delle strade terrestri e del brigantaggio quasi permanente. È caratteristico che la lode più frequente che si fa dei sovrani, che lasciarono più lunga traccia nella tradizione popolare, è quella di avere assicurato i viandanti dal pericolo de’ malandrini. Vedi, per Teoderico, la Chronica Theodericiana in M. G. H., Auct. Antiq., IX, 324; per Autari, K DIACONO, Rist. Lang., III, 16 (Cfr. CIPOLLA, Pensieri intorno a due famosi passi di P. D., estr. dagli Atti della r. Acc. d. sc. di Torino, vol. XLV, Torino, 1910); per Guglielmo II il Buono, RICCARDO DA S. GERMANO in M. G. H., Scrípt., XIX, 323. (5) DAREMBERG et SAGLIO, Dictionnaire d’antiquités grecques et romaines, VI, 21. (6) Epistolae et carmina, ed. Lvetjohan in M. G. H., Auct. Antiq., T. VIII, 6. (7) ENNODII Opera, ed. Vogel in M. G. H., Auct. Antiq., T. VII, 107. (8) CASSIODORI Variae, ed. Mommsen, IV, 45. (9) LIUDPRANDi Antapodosis, VI, 4; ed. Dümmler, Hannoverae, 1877. (10) Ciò non toglie per altro che la navigazione fluviale continuasse ad essere rigorosamente regolata dallo Stato. Cfr. ROTARI, Ed. ?65–268. (11) Per tutta questa parte vedi L. M. HARTMANN, Zür Wirtscliapsgeschichte Italiens im, frühen Mittelalter; Gotha, Perthus, p. 74 sg. e il doc. a pag. 123. (12) Cfr. A. SOLMI, Le diete imperiali in Roncaglia e la navigazione del Po preSso Piacenza; Parma, 1910, pag. 18 sg. (13) M. G. H., Capitula regum franc., p. II, pag. 130 sg. (14) Cfr. LIUDPRANDi Legatio, 55. – G. ROMANO, Le dominasioni barbariche in Italia, Milano, Vallardi, 1909, pag. 785, n. 22. (15) V. il mio lavoro: Il Codice diplomatico agostiniano di s. Pietro in Ciel d’Oro in Boll. pav. di stor. patria, VI (1906), 302. (16) AZARIO, Chronicon, ed, Milano 1771, p. 225: «Nec potest dici similis vel par in aliqua Civitate Lombardie. Nam navigiis dominatur, qnia sita super ßuinen Ticini, habens introitum et potentiam in ipso Ticino, et potius intra Padum et proinde in mari Adriatico». (17) L’importanza commerciale di Pavia nell’Alto M. E. è stata posta in rilievo da’ più recenti studi. Non sono molti anni che C. MERKEL (L’epitafio di Ennodio, Roma, Tip. R. Accad. dei Lincei, 1896, p. 102) parlava di una decadenza della città subito dopo la fine del regno longobardo, rappresentandola “silenziosa e deserta”, salvo ne’ rari periodi di passaggi d’imperatori e di soldatesche straniere. A risultati ben diversi, mediante un più accurato studio delle fonti cronistiche e dei documenti, sono giunti: E. SACKUR, Die Cluniacenser in ihrer kirchlichen u. allgemeingeschichtlichen Wirhsamkeit bis zar Mitte d. elften Jahrhunderts, 1, 237, Halle a. S., 1892 – L. M. HARTMANN, Op. cit. – G. VOLPE, Per la storia giuridica ed economica del M. E. in Studi Storici, 1905, p. 203 – A. SCHAUBE, Handelsgeschichte der Romanischen Volker, Munchen – Berlin, 1906, pag. 12 seg. – W. LENEL, Zur alteren Geschichte Venedigs in Historische Zeitschrift, 1907, pag. 99 sg. – G. ROMANO, Le dominazioni barbariche in Italia, Milano, Vallardi, 1909, pag. 600, e Un passo di Agnello Ravennate in Boll. della soc. pav. di sforia patria, X (1910). Tra le testimonianze contemporanee sono notevoli quella dei cronista Notkero (INL G. H., Script., II, 760), da cui risulta che fin dall’VIII secolo i Veneziani frequentavano il mercato di Pavia, e l’inchiesta del doge Otto Orseolo poco dopo il mille (Cronache Veneziane antichissime, ed. Monticolo, 1, 178). Che l’avia fosse un mercato importante per la seta argomentasi da un elenco di beni del monastero di s. Giulia in Brescia (PORRO I,AMBERTENGHI, Cod. diplom. Long., pag. 726). Circa la popolazione e il movimento mercantile pavese nel X sec. è interessante il passo dell’ANON. SILVINIAC., Vita S. Maioli (Bibl. Cluniac., col. 1775), cap. 18: “Quae multiplicibus populorunì referta turbis, nobilium et diversarum mercium speciebus insignis, quasi quaedanì Tyrus et Sydon videtur l’emansisse, quibus complacet ad sui mercimonii comparationem et venditionem venire”. (18) Questa deficienza era lamentata vari secoli fa da BONVESIN DELLA RIVA, De Magnalibus urbis Vediolani, ed. Novati in Bullett. Ist. Stor. Ital., 1898, p. 170. Vedi anche G. BRUSCHETTI, Storia dei progetti e delle opere per la navigazione interna del milanese, Milano, 1842, p. 2. (19) Sulle cause economiche della conquista viscontea vedi il mio lavoro La guerra tra i Visconti e la Chiesa in Bollett. della società pavese di st. patria, III, 417 seg. (20) Alludo al noto passo di Landolfo il Vecchio (II, 24), più volte ricordato dagli storici, in citi si accenna ad un’antica comunicazione di Milano col Po per mezzo della Vettabbia. (21) Cfr. BISCARO, Gli antichi « naviqli » milanesi in Arch. stor. lomb., XXXV (dicembre 1908), 292 sg. (22) Cfr. BISCARO, op. cit., p. 298 sg. – BRUSCHETTI, op. cit., p. 3. (23) Ecco come l’ANONIMO TICINESE, op. cit., p. 23, parlava, sui primi decenni del sec. XlV, del commercio pavese per le vie fluviali: « Ad civitatem illam papiensem, cum duorum ex maioribus Lombardie fluminibus portus obtineat, ex diversis partibus mundi mercimonia deferuntur: usque illuc enim de Adriatico mari, ubi est Venetiarum civitas per multas illine dielas distans ab oriente, naves cum sale et aliis mercimoniis per Padum et Ticinum ascendunt. Illuc tam de suo territorio quam de Monteferrato cum preciosis et rubicundis vinis et aliis rebus per Padum ab occidente descendunt. Similiter descendunt illuc cum optimis vinis de Novariensium. et Madiolanensium partibus per Ticinum ». (24) Vedi il mio lavoro: Delle relazioni tra Pavia e Milano nella formazione della signoria viscontea in Arch. stor. lomb_ XIX (1892), 578, e L’altro già citato su La guerra tra i Visconti e la Chiesa, p. 421. (25) Cfr. FORMENTINI, Ducato di Milano, p. 637. (26) Ctr. SOLMI, op. cit., pag. 24 sg. (27) VIDARI, Arsenale, Darsena e Campo del tiro a segno in Pavia; Pavia, Fusi, 189?, p. 15 sg. (28) Lettere senili, volgarizzate dal Fracassettì, Firenze, 1810, Lib. XI, 2. (29) Chronicon, p. 174. Cfr. ANONYMI TICINENSIS, De laudibus civitatis ticinensis presso Muratori, R. I. S., 2. ediz., Città di Castello 1903, pag. 24. (30) G. VIDARI, Op. cit., pag. 23. (31) Sulle condizioni generali della I,ornbardia all’epoca spagnola vedi C. CANTÙ, La Lombardia nel secolo XVII. Ragionamenti; Milano, Volpato, 1854, pag. 16 sg. (32) Mémoires de M. GOLDONI, pour servir à l’histoire de sa vie etc., Paris, Duchesne, 1787, vol. I, pp. 78–80. (33) L. PASCOLI, Il Tevere navigato e navigabile, Roma, 1470. (34) Pubbl. dal Conte A. CAVAGNA–SANGIULIANI in Bollett. pavese di storia patria, VIII, pag. 9. (35) Su questo punto vedi E. ROTA, La politica economica dell’Austria in Lombardia e le necessità del commercio milanese in Boll. pav. di st. patria, anno X (1910), pp. 118 sg. (36) Sui danni economici prodotti a Pavia dalle guerre di successione vedi R. SCOTONI, Emigrati pavesi nei primi anni della dominazione francese in Boll. par. di st. patria, VII (1907), 383 Sg. e C. PANIGADA, Pavia nel primo anno della dominazione francese dopo la rivoluzione (maggio 1796 – giugno 1797), ibidem, X (1910), 253 sg. Sugli smembramenti del territorio e loro conseguenze vedi il lavoro di A. MALAGUGINI, Gli smembramenti del Principato di Pavia nella prima metà del sec. XVIII in corso di stampa nello stesso Bollettino, fase. Ill1V, 1911. (37) G. VIDARI, Frammenti cronistorici dell’agro ticinese, 2a ed., Pavia, 1892, vol. IV, p. 258. (38) Cfr. BRUSCHETTI, op. cit., p. ?92 sg. (39) Op. cit., IV, pag. 478.

Pubblicato 20/07/2008 10:56:13