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Articoli

di Alberto Arecchi

LA LEGGENDA DI TEODORICO E BOEZIO


Teodorico, Re degli Ostrogoti, della famiglia degli Amali, è spesso definito “il Grande” per distinguerlo da altri re dei Goti e dei Franchi che hanno portato lo stesso nome (che significa “re della gente”). Di lui è stato detto “nihil perperam gessit”, (“non sbagliò mai”). Egli ebbe tre sedi o Palazzi Reali: in Verona, in Ravenna e in Pavia.

Nel Medioevo la fortuna di questo re d’ltalia fu vasta: egli fu considerato il massimo eroe del periodo delle grandi migrazioni. La sua vita è passata nel mito e nella leggenda, con tre cicli narrativi distinti: Teodorico e Ermanarico, le gesta di Teodorico, la sua fine.

II nucleo essenziale della vicenda imperniata su Ermanarico e Teodorico è pressappoco questo: Teodorico viene cacciato dal suo regno italiano dallo zio Ermanarico e deve fuggire in esilio. Si rifugia alla corte del re unno Etzel (Attila), con l’aiuto del quale intraprende diversi tentativi di riconquista che falliscono. Dopo trenta (o trentadue) anni riesce finalmente a tornare in possesso della sua terra. II riferimento storico della leggenda, che mette insieme personaggi di epoche diverse (Ermanarico morì nel 375, Attila nel 453), è l’impresa principale della vita di Teodorico: la fondazione di un regno in Italia.

Le gesta di Teodorico, un tipo di racconto favoloso, per più versi simile al ciclo di re Artù, vertono su combattimenti favolosi che il re-eroe aifronta contro gli avversari più disparati, per lo più esseri soprannaturali, come giganti e draghi. Le composizioni poetiche tedesche relative a questo ciclo, sono posteriori al sec. XIII e mancano di qualsiasi fondamento storico. Sono sette in versioni diverse, fatto che dimostra quanto fossero diffuse e popolari, e sono per lo più ambientate sulle montagne dell’Alto Adige. Un’opera letteraria di particolare rilievo è Ia Thidrekssaga, databile verso il 1250, Ia lunga “saga di Teodorico”, una specie di biografia completa e allargata, realizzata probabilmente a Bergen in Norvegia, ma su materiali di origine tedesca.

La narrazione vuole che, dopo la giovinezza e la sua educazione presso lldebrando, Teodorico si rifugi in esilio da Attila (che tiene corte in Germania). Egli combatte poi contro Ermanarico e rientra a Roma.

Nel 524 il re ostrogoto Teodorico fece giustiziare Severino Boezio, già suo consigliere particolare, perché coinvolto con il padre, lo zio e altri personaggi di corte in una congiura - vera o supposta - contro Teodorico stesso.

Anicio Manlio Boezio, della nobile famiglia romanica Anicia, era stato console nel 510 e poi aveva vissuto ai margini della vita politica sino al 522, anno in cui accettò la carica di magister offlciorum. L’anno seguente fu accusato di alto tradimento e imprigionato nell’Agro Calvenzano, alle porte di Pavia. Secondo la tradizione pavese il luogo della prigionia era una torre circondata di statue, probabilmente appartenente alla cinta di mura romane, che sorgeva nell’attuale piazza Petrarca e cadde rovinosamente il 19 maggio 1584.

Durante la prigionia, Boezio compose la celebre opera De consolatione philosophiae. Nel 524, per ordine di Teodorico, fu giustiziato (forse per strangolamento o per compressione della scatola cranica). Le sue ossa riposano nella cripta di san Pietro in Ciel d’Oro, e la Chiesa cattolica ne celebra le virtù..

Simmaco, suocero di Boezio, fu travolto nella stessa sua disgrazia e messo a morte nel 525 per ordine di Teodorico. Noto per la sua vastissima cultura, fu autore di una Historia romana, oggi perduta.

I contrasti alla corte ostrogota, tra i nobili romanici e il gruppo dirigente ostrogoto causarono molti odi al giovane re Teodorico, tanto che la sua morte è misteriosa e ammantata di diverse leggende.

Una leggenda pavese vuole che il fantasma di Boezio si aggirasse per i luoghi della sua esecuzione (ossia la zona immediatamente a nord delle antiche mura romane), con la propria testa sotto il braccio (visione forse ispirata e suggerita dalla statua detta “del muto dall’accia al collo”, scultura romana con una testa evidentemente posticcia).

Un’altra leggenda, raccolta da Procopio verso il 550, racconta che, durante un pranzo di corte, la vista di un piatto di portata con la testa un grosso pesce che aveva gli occhi vitrei fuori delle orbite ricordasse al re Teodorico il tipo di morte inflitto al suo consigliere Simmaco e che il re, sconvolto da tale visione, cadesse a sua volta morto per improvviso soffocamento.

L’Anonimo Valesiano lo fa morire di diarrea per punizione divina, dopo tre giomi di atroci sofferenze, proprio come era accaduto ad Ario, ii fondatore della setta eretica cui Teodorico aderiva.

La Thidrekssaga racconta che, visto un bellissimo cervo nelle vicinanze della reggia, il re ordinò di condurgli cavallo e cani. Ma ecco che scorse a poca distanza un cavallo nero mai vista prima, già sellato. Teodorico gli saltò in groppa e iniziò a cavalcare freneticamente verso l’ignoto, tentando invano di smontare. Il cavallo era il diavolo in persona, che lo aveva rapito. A questa versione si è attenuto Giosue Carducci nella sua Leggenda di Teodorico (G. CARDUCCI, Rime Nuove, 1884).

Nei suoi Dialoghi papa Gregorio Magno (540-604 ca.) riferisce che Teodorico precipitò nel cratere delI’Etna, spinto dalle sue vittime Boezio e Simmaco, cui l’autore aggiunge, non sappiamo quanto a ragione, il pontefice Giovanni.

Pubblicato 10/01/2009 19:17:54