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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Alberto Arecchi

SAN LANFRANCO A PAVIA


San Lanfranco sorge circa km 2,5 ad ovest del centro storico di Pavia, in prossimità del raccordo autostradale per Bereguardo e per Milano. Il complesso monumentale è costituito dalla chiesa col campanile e dal monastero, che nel momento del massimo splendore comprendeva due chiostri.
L’Abbazia fu costruita da monaci vallombrosani e dedicata dapprima al Santo Sepolcro. Secondo una cronaca manoscritta, la fondazione della chiesa e del monastero risalirebbero al 1090.
Il Vescovo Lanfranco Beccari fu il protagonista di un’aspra lotta tra il potere vescovile e l’appena sorto potere comunale; le sue vicende sono ricordate in un affresco di questa chiesa e paragonate a quelle di Thomas Beckett, l’arcivescovo martire di Canterbury ucciso nel 1170 e ricordato nel celebre lavoro teatrale “Assassinio nella cattedrale”. Il vescovo Lanfranco si rifugiò in esilio in questo monastero. Qui morì e fu sepolto nel 1198 e fu venerato come santo. La chiesa fu riedificata nel 1237 e compiuta nel 1257, con l’erezione della facciata e del campanile: una massiccia torre quadrata col lato di circa sei metri, coronata da quattro grandi trifore, che presenta quindi alla sommità 12 finestre (il sacro numero degli apostoli e dei mesi dell'anno). Si tratta della più bella tra le torri medievali di Pavia e domina da oltre 30 m d'altezza la campagna circostante.
Alla consacrazione, nel 1253, la nuova chiesa fu dedicata a San Lanfranco. Era da poco scomparso l'imperatore Federico II e la Chiesa pavese voleva così ricordare un altro periodo di difficili rapporti con il potere temporale.
Ad una sola navata, la costruzione deriva molto dalla precedenti Basiliche cittadine del sec. XII; ha quattro campate, con transetto e l’abside orientata verso oriente. Come negli altri monumenti romanici, l’unità di misura è il piede romano (29,5 cm ca.); tutta la costruzione si basa sull’applicazione di unità modulari di 4 piedi (m 1,18) e di rapporti modulari basati su “numeri sacri” (3, 4 e loro multipli). Le murature del sec. XIII sono di ottima qualità, realizzate con mattoni di grossa pezzatura e di buona finitura. Il centro della croce è coperto da una cupola ottagonale, come in tutte le maggiori chiese romaniche di Pavia. È ben visibile l’effetto di deformazione dovuto alla spinta non equilibrata delle volte, solo recentemente neutralizzata con catene metalliche. Secondo certi studiosi, tale deformazione è un effetto voluto, per riprodurre la forma della testa del femore umano, simbolo di solidità.

La chiesa di San Lanfranco, costruita a forma di croce latina, ha una sola navata, suddivisa da pilastri incastrati in quattro campate. I bracci di croce del transetto sporgono fortemente dalla navata. Basta gettare un'occhiata alla pianta per essere colpiti dalle sue forti irregolarità. L'asse longitudinale si flette a destra al di là della navata, questa incontra obliquamente il transetto e il braccio di croce settentrionale è chiuso da un muro la cui stortura è molto pronunciata.
La copertura a volte presenta le disposizioni costantemente seguite nelle chiese romaniche di Pavia: sull'incrocio, una cupola ottagonale appoggiata su trombe, volte a botte sui bracci di croce e volte a crociera nella navata. La chiesa di San Lanfranco reca la traccia evidente di dissesti causati dall'eccesso di spinte laterali delle volte, che spinsero in fuori i sostegni con deformazioni considerevoli. Tutte le pareti laterali della navata s'inclinarono all'esterno.
La facciata, completata a metà sec. XIII, è la sola parte decorata dell'edificio. All'interno, i capitelli delle semicolonne, di forma cubica, sono estremamente semplici. Solo le finestre forate nei muri laterali testimoniano d'una certa ricerca per il numero delle nervature.
Le proporzioni slanciate della facciata, molto più alta della navata, sono valorizzate dalle linee montanti dei contrafforti angolari e delle fini colonnine intermedie. Una grande finestra circolare, aperta in breccia posteriormente nel riquadro mediano, ha fatto scomparire l'apertura antica; essa è affiancata da due piccole aperture rotonde, appartenenti alla costruzione primitiva.
Contemporanea alla chiesa è la parte sud-occidentale del monastero, che avvolge il chiostro piccolo, e che fu parzialmente distrutta nel sec. XVIII da alcune piene del Ticino. Il chiostro piccolo fu iniziato dall’abate Luca Zanachi nel 1453; è costituito da archetti a tutto sesto su colonnine binate, con capitelli a stampella. Dietro la parete di questo chiostrino, si racconta che le intercapedini comprese tra la stessa e il muro della chiesa celino diversi segreti (tra i quali il vero nascondiglio delle spoglie di San Lanfranco, che non sono mai state ritrovate).
Del chiostro piccolo non rimane attualmente che un lato, male conservato: gli altri tre furono abbattuti nel 1783, per ampliare l’antico cimitero dei monaci ed accogliere altre ossa, che le acque del Ticino minacciavano di portare via. Sempre all'abate Luca sono dovuti gli stalli in legno scolpito che ornano il coro.
Le decorazioni in terracotta degli archi del chiostrino e del cornicione sovrastante sono attribuite a Giovanni Antonio Amadeo (Omodeo, Homodeus - 1447-1522), per la sua somiglianza con quella del chiostro piccolo della Certosa.
La presenza dell’Amadeo a San Lanfranco è documentata nel 1498, anno in cui scolpì l’arca marmorea del Santo per incarico del marchese cardinale Pietro Pallavicini, primo abate commendatario del convento, che fece anche ricostruire il coro della chiesa e promosse l'ampliamento del monastero. L’arca di San Lanfranco è uno dei capolavori dell’Amadeo, per la sua eleganza e per le bellissime colonnine “a candelabro” che la sorreggono.
Nel 1480 il marchese Pallavicini sovvenzionò la costruzione della parte nuova del monastero, con il chiostro grande e la Sacrestia; non è improbabile che l’Amadeo ne fosse l’architetto. Il secondo chiostro, eretto in eleganti forme rinascimentali di gusto bramantesco, conserva tondi dipinti con santi. Sono ancora riscontrabili tracce notevoli di affreschi, oltre che nella chiesa (sec. XIII-XIV), anche nei due chiostri e in alcune sale del monastero, destinato attualmente ad Oratorio per i ragazzi della parrocchia. Nel 1509 fu abbattuta l’abside romanica per costruire un ampio presbiterio con coro ligneo, illuminato da sei occhi circolari (tre dei quali hanno ancora le vetrate originali); le lesene sono dipinte a tasselli bianchi e rosso mattone.

"Il coro, oltre ad essere di ordine diverso, fu pur riconosciuto di costruzione più recente, come l'attestano le date del 1509, l'una scolpita sotto la cornice verso settentrione, l'altra sopra la finestra circolare di levante, ove trovasi un'altra iscrizione, non ancor letta..."

(C. PRELINI, Note storiche intorno al tempio ed al Monastero di San Lanfranco presso Pavia, in "Almanacco Sacro Pavese per l'anno 1875").

Il chiostrino di San Lanfranco fa parte d’un capitolo importante nella storia dell’arte pavese. La sua attribuzione all’Amadeo si ricollega ad altre opere in terracotta di questo artista, dal Lavabo del Chiostro Piccolo alla Certosa di Pavia ai rosoni del Carmine a Pavia.
La presenza dell’Amadeo nel Chiostrino della Certosa (e non solo nella fabbrica del grandioso monumento) è attestata dalla sua firma sul portale d’accesso al Chiostro, mentre le terrecotte dei due chiostri sono del maestro cremonese Rinaldo de Stauris (1466 per il chiostro piccolo e 1478 per il grande, in collaborazione con i fratelli Mantegazza).
Sono attribuite all’Amadeo le decorazioni del Lavabo ed alcune formelle del chiostro piccolo. Da tali esperienze deriverebbero gli sviluppi del chiostrino di San Lanfranco, del chiostro della Pusterla e dei rosoni del Carmine a Pavia.
Un capitello del chiostrino di San Lanfranco è datato: “Hoc opus f.f. Lucas abbas S. L. a. 1467”. Occorre ricordare che l'Amadeo aveva solo vent'anni, a quell'epoca. La stessa iscrizione si ritrova nel chiostro del Seminario di Pavia (ex monastero della Pusterla), decorato in parte con formelle analoghe a queste. Al Carmine poi il lavabo è di sicura esecuzione dell’Amadeo; gli sono attribuiti anche i due grandi rosoni delle testate del transetto, i cui motivi a puttini appaiono chiaramente collegati a questi di San Lanfranco (i rilievi sulle due porte laterali della facciata del Carmine furono qui portati nel sec. XIX, e provengono dalle arcate distrutte del chiostrino di San Lanfranco).
L’attribuzione del chiostrino è dovuta alla presenza dell’Amadeo all’epoca dell’esecuzione dell’Arca, che però appare ben più tarda della data segnata sui capitelli. Il Robolini attribuisce le terrecotte di San Lanfranco a un certo Luca di Alemania (forse per l’influenza subita dall’iscrizione fatta apporre dall’abate Luca Zanachi?).
Il confronto tra il Chiostro piccolo e quello grande di San Lanfranco suggerisce, se entrambi sono dovuti alla stessa mano, un’evoluzione dallo spirito decorativo, dall’horror vacui tipico del Quattrocento lombardo, ereditato dalla tradizione solariana, ad una plastica che scandisce lo spazio in forme che si possono definire “più architettoniche”. Si percepisce nel chiostro grande una forte influenza dello spirito bramantesco, che manca invece nel chiostro maggiore della Certosa.
Pubblicato 19/03/2008 09:59:55