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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Ludovico Maria Sinistrari d'Ameno

LA STORIA DI GIRONIMA, signora pavese ossessionata da un folletto


Circa venticinque anni fa, quando ero professore di Teologia Sacra al convento di Santa Croce a Pavia, abitava in quella città una donna sposata di ottimi costumi, della quale chiunque la conoscesse, soprattutto i monaci, dicevano ogni bene. Si chiamava Gironima e abitava nella parrocchia di San Michele. Un giorno questa donna aveva impastato in casa del pane, e lo portò dal fornaio perché lo cuocesse. Il fornaio le restituì il pane cotto, e con esso una grande pasta dalla forma strana, al burro, fatta come una veneziana (così si chiama, perché è la maniera di fare le paste in quei luoghi). Ella rifiutò il dolce, dicendo di non aver fatto nulla di simile.
"Ma - disse il fornaio - oggi non avevo altro pane da cuocere che il vostro: dunque anche la pasta veneziana deve venire da casa vostra; ve ne sarete dimenticata".
La brava signora si lasciò convincere, accettò il dolce e lo mangiò in compagnia del marito, della figlia di tre anni e della domestica. La notte successiva, mentre era a letto con suo marito e dormivano entrambi, si sentì svegliare da una voce finissima, come un sibilo acuto, che tuttavia le mormorava all'orecchio parole distinte: la voce le chiedeva se la pasta le era piaciuta. Spaventata, la brava signora cominciò a segnarsi e a invocare i nomi di Gesù e di Maria. "Non temere - diceva la voce - non ti voglio male; anzi, farei di tutto per esserti gradito, sono innamorato della tua bellezza e il mio più gran desiderio è di avere i tuoi baci". Allo stesso tempo, ella sentiva qualcuno che le baciava le guance, ma così leggermente e soavemente che sembrava la carezza di un guanciale di cotone, dei più fini. Ella resisteva senza rispondere nulla, concentrandosi a ripetere giaculatorie e continuando a segnarsi: la tentazione si prolungò così per una mezz'ora, poi il tentatore si ritirò. Il mattino seguente la signora andò dal proprio confessore, uomo ponderato e saggio, che la confermò nella fede e la esortò a continuare la resistenza vigorosa che aveva esercitato e a munirsi di qualche santa reliquia. Le notti successive, uguale tentazione, con parole e baci dello stesso tipo; simile costanza da parte della signora. Stanca tuttavia di prove così dure e che andavano prolungandosi, ella decise, su consiglio del confessore e di altri uomini pii, di farsi esorcizzare da esorcisti sperimentati per sapere se, per caso, non fosse posseduta.
Gli esorcisti non trovarono nulla in lei che indicasse la presenza di spiriti maligni, benedissero la casa, la camera, il letto, e ingiunsero al folletto di cessare d'importunarla. Ma non ci fu nulla da fare. Il tentatore continuava indisturbato, il galante diceva di morire d'amore, piangeva, gemeva per intenerire la donna, che tuttavia, con la grazia di Dio, rimase inamovibile. Il folletto allora cambiò metodi: apparve alla sua bella sotto forma di un giovane bellissimo, dai capelli biondi e ricci, la barba bionda splendente come l'oro, gli occhi azzurri come fiori di lino e, per completare la propria grazia, vestito con eleganti fogge spagnole. Né cessava di apparirle quando pure ella fosse in compagnia; si lamentava, come fanno gli amanti, piangeva, le mandava baci, in una parola usava tutti i mezzi di seduzione possibili per ottenere i suoi favori. Ella sola lo vedeva e lo sentiva: per tutti gli altri non vi era nulla.
La nostra brava signora, dunque, perseverava in tale ammirabile costanza, quando infine, dopo qualche mese, il folletto irritato ricorse a un nuovo genere di persecuzione. Prima le tolse una croce d'argento piena di sante reliquie e un agnello di cera benedetto (l'agnello di papa Pio V), che portava sempe indosso; poi gli anelli e altre gioie d'oro e d'argento, che rubò dallo scrigno in cui erano racchiusi senza toccare le serrature. Poi cominciò a picchiarla crudelmente, e dopo ogni battuta le rimanevano al viso, alle braccia e in altre parti del corpo contusioni e lividi che duravano un giorno o due, per scomparire improvvisamente, non come le contusioni naturali che migliorano poco a poco. Talvolta, mentre ella allattava la figlioletta, egli gliela levava dalle ginocchia per andare a metterla sul tetto, sul bordo della grondaia, o la nascondeva, ma senza mai farle del male. A volte metteva sottosopra tutta la casa, o rompeva in mille pezzi le pentole, i vasi e altri recipienti di coccio, e in un batter d'occhio li riparava come erano prima. Una notte che ella era a letto con suo marito, il folletto, apparendole con la sua forma abituale, la pregò energicamente di cedergli; ella resistette come sempre. Furioso, il folletto si ritirò e, poco dopo, rientrò con un carico enorme di quelle lastre di lavagna che usano a Genova e in Liguria per coprire i tetti delle case. Con quelle pietre costruì un muro intorno al letto, così alto che toccava il soffitto e che i nostri sposi, per uscirne, dovettero farsi portare una scala. Il muro era costruito senza calce e fu facile distruggerlo, ponendo le pietre in un angolo; vi rimasero esposte allo sguardo di tutti per due giorni, poi sparirono.
Il giorno di Santo Stefano, il marito aveva invitato alcuni amici militari a cena, preparando portate di tutto rispetto per fare onore ai suoi ospiti. Mentre, come si usa, i commensali si lavavano le mani prima di sedersi, ecco che tutto d'un colpo la tavola scomparve, con tutti i cibi, le pentole, i calderoni, i piatti e tutto il vasellame in cucina: brocche, caraffe e bicchieri. Immaginatevi la meraviglia e lo stupore dei nostri commensali; erano otto, fra cui un capitano di fanteria spagnolo, che si girò verso i suoi camerati dicendo:
"Non abbiate paura, è uno scherzo, ma - accidenti! - qui c'era una tavola e deve esserci ancora; un momento, che vado a cercarla".
Detto ciò, si mise a fare il giro della sala con le mani stese, cercando di afferrare la tavola; ma dopo molti giri, vedendo che non riusciva a toccare altro che aria, gli altri cominciarono a prenderlo in giro. Poi, essendosi ormai fatto tardi per cenare, si rivestirono coi cappotti per andarsene a casa. Erano già tutti alla porta col marito che, per gentilezza, li stava accompagnando, quando sentirono un gran fracasso nella sala da pranzo. Si fermarono per conoscerne la causa, e subito la domestica accorse ad annunciare che la cucina era piena di recipienti mai visti, colmi di cibarie, e che la tavola era apparecchiata in sala. Ritornarono, sorpresissimi al vedere la tavola coperta di tovaglia, tovaglioli, saliere, piatti e vassoi che non appartenevano alla casa, e di cibi che non erano stati preparati lì. Su un lato, una grande credenza, su cui si potevano ammirare, nel più bell'ordine, calici di cristallo, argento e oro, con ogni sorta d'anfore, di caraffe, di coppe, pieni di vini stranieri: vino di Creta, della Campania, delle Canarie, del Reno, ecc.
Anche in cucina, un'abbondante varietà di cibi nelle pentole, piatti mai visti. Molti degli invitati esitarono dapprima a mangiare; tuttavia, incoraggiati dagli altri, che si misero a tavola, gustarono tutto del pasto, che trovarono squisito. Immediatamente dopo, mentre erano seduti davanti al fuoco come si usa nella stagione fredda, tutto scomparve di colpo, vasellame e tutto il resto, e ricomparve la vecchia tavola imbandita coi piatti originali; ma, cosa stupefacente, gl'invitati erano tutti sazi e nessuno ebbe voglia di rimettersi a tavola dopo una cena di tale magnificenza. Questo prova che le vivande sostituite alle prime erano reali e non immaginarie.
Erano dunque molti mesi che durava una tale persecuzione, quando la signora si rivolse al Beato Bernardino da Feltre, del quale si venerava il corpo nella chiesa di San Giacomo, a breve distanza dalle mura della città. Ella gli fece voto di restare un anno intero vestita d'un saio grigio, cinto da una corda, simile a quello che portano i Frati Minori al cui Ordine apparteneva il Beato Bernardino. Sperava così, per la sua intercessione, d'essere finalmente liberata dalla presenza del folletto. Il 28 settembre, vigilia della festa di San Michele Arcangelo e festa del Beato Bernardino, si vestì con l'abito votivo. L'indomani mattina, festa di San Michele, la nostra donna, afflitta, si avviò alla chiesa di San Michele di cui, come abbiamo detto, era parrocchiana. Erano circa le dieci e una gran folla si dirigeva alla messa. Ora, la poveretta non aveva ancora messo il piede dentro la chiesa, che di colpo i suoi vestiti e tutto ciò che aveva indosso caddero per terra e scomparvero trascinati dal vento, lasciandola completamente nuda. Vi erano tra la folla due cavalieri di età avanzata i quali, vista la cosa, si affrettarono a darle i loro mantelli per coprire la sua nudità, e la misero su una vettura per riaccompagnarla a casa. Quanto ai vestiti e ai gioielli rubati dal folletto, non furono restituiti che sei mesi dopo.
In breve potrei raccontarvi ancora altri scherzi, di tutti i tipi, giocati a Gironima dal folletto, ma a tutto c'è un termine. Basti sapere che insistette nella sua tentazione per diversi anni, sinché, vedendo che perdeva tempo e fatica per niente, si decise a togliere l'assedio.
Pubblicato 19/03/2008 10:00:00