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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Alberto Arecchi

IL SANTO DEL PROSCIUTTO


Dietro la facciata della Certosa, nel risvolto a sud, c'è un tondo scolpito che raffigura un santo dalle caratteristiche inusuali. Fra le mani, infatti, stringe un cosciotto di animale, con l'inconfondibile sagoma di un prosciutto. La posizione del bassorilievo è tale che ve lo trovate davanti agli occhi, quando uscite dal chiostro piccolo dopo la visita al complesso monumentale, in controluce, a circa due metri e mezzo di altezza. Non si può fare a meno di osservarlo e infatti, per anni, l'ho ricordato come "il Santo del prosciutto": un certosino, a giudicare dall'abito, che doveva essere talmente importante (o familiare) da meritarsi quella posizione, solo apparentemente un po' nascosta, ma in realtà sotto gli occhi di tutti.

Finalmente, un giorno, scoprii che quel santo era stato un umile converso certosino, di nome Guglielmo Fenoglio, vissuto tra il sec. XI e il XII nella Certosa di Casotto (oggi conosciuta come Castello di Casotto, circa 17 km a ovest di Garessio - CN). Era addetto al vettovagliamento del monastero e raccoglieva viveri, granaglie e legumi dalle varie cascine, facendo la spola con la mula del monastero tra Casotto e le località circostanti, talvolta sino ad Albenga e a Mondovì. Le strade allora erano infestate da briganti e accadeva abbastanza spesso che fratel Guglielmo fosse rapinato lungo il suo cammino. Il Priore, di fronte al suo profondo abbattimento, gli disse un giorno tra il serio e il faceto: "La prossima volta che incontrerai i ladri, impugna una gamba della mula e mettili in fuga!" L'umile Guglielmo ebbe occasione di prenderlo in parola. Non trascorse molto tempo che dovette subire un altro assalto dei ladroni. Memore delle parole del Priore, afferrò una gamba della giumenta, la staccò e la impugnò contro gli assalitori i quali, atterriti da tale gesto, se la diedero a gambe. Il frate rimise la zampa al suo posto e ritornò alla Certosa. Nella fretta, però, aveva riattaccato la zampa a rovescio e la mula zoppicava. Questo fatto confermava le chiacchiere che rapidamente si diffusero, nel monastero e nel circondario, sull'impresa di Guglielmo, tanto che il Priore decise di indagare. Fratel Guglielmo non ebbe difficoltà a raccontare, con candore, la sua storia incredibile: non aveva fatto altro che applicare i consigli del suo Priore. Deciso a chiarire se si trattasse davvero di un miracolo, il Priore "rimproverò" Guglielmo per la sbadataggine e gli chiese di rimettere a posto la zampa della mula. Il fraticello, pronto, si affrettò a staccare di nuovo l'arto per ricollocarlo nel modo giusto, scusandosi per l'errore precedente. Ciò avvenne di fronte a diversi testimoni, senza che la mula perdesse sangue né mostrasse il minimo segno di dolore.

Il Beato Guglielmo morì nel 1120. Poco tempo dopo, il suo corpo venne esumato "a furor di popolo" dal camposanto, per tutti i miracoli che compiva. Fu trovato incorrotto e posto in un'urna, rischiarata da una lampada sempre accesa. Quest'urna fu in seguito nascosta in una nicchia nei muri della chiesa. All'epoca della Rivoluzione francese si perse ogni memoria sul punto esatto del nascondiglio.

Il miracolo della mula fu rappresentato dappertutto in Europa, sui monumenti dell'Ordine certosino: dalla Spagna al Portogallo, dall'Inghilterra alla Francia, all'Italia. Nel bassorilievo tondo della Certosa di Pavia, il Beato Guglielmo è vestito da certosino e impugna il cosciotto della mula, dalla tipica forma "a prosciutto" (o piuttosto dovremmo ormai dire "a bresaola", data la specie dell'animale). Ragioni di spazio non hanno consentito di raffigurarvi tutta l'immagine della fedele mula. In altre raffigurazioni il Beato impugna non l'intera gamba, ma solo lo stinco dell'animale.

Pio IX il 19 marzo 1860 proclamò ufficialmente Beato Guglielmo Fenoglio e consacrò una fama che si era già diffusa nei secoli attraverso l'Europa intera. A quel tempo, però, la tomba di Guglielmo era già scomparsa e la religiosità popolare era in fase di declino.

santo del prosciutto

La partenza dei Certosini da Pavia e l'assenza di un "atlante topografico" delle sculture e dei bassorilievi della Certosa hanno reso ulteriormente la ricerca del nome del santo. Poi, un giorno, mi ha all'improvviso chiarito l'enigma la domanda di un amico piemontese: "Sai se alla Certosa di Pavia è raffigurato un Santo che impugna la gamba di un cavallo?" "Non mi ricordo nessun dipinto - gli rispondo io - ma... se vuoi, c'è "il santo del prosciutto". Ecco ristabilito il ponte: nelle storie della Certosa di Casotto si dice che a Pavia c'è una figurazione del Beato Guglielmo, mentre qui nessuno più racconta la storia di quell'immagine.

Eppure non è solo questa figura a solleticare l'interesse del visitatore curioso che si attardi a esaminare le decorazioni della facciata o dei chiostri della Certosa. Le figure seguono una loro logica e indicano percorsi precisi: le teorie degli imperatori romani intrecciate a scene delle sacre scritture, le lunghe teorie di teste mozzate di Mori che sembrano ricordare gli antichi culti dei santuari celtici, stemmi viscontei e simboli araldici sforzeschi, delfini aquile e dragoni, San Bartolomeo scorticato che mostra la propria pelle, San Rocco vestito da pellegrino, lassù sull'angolo si vede un San Martino che taglia il mantello, e poi, nei chiostri, le figure allegoriche, gli itinerari di meditazione, con le tentazioni (la ricchezza, il potere, l'orgoglio, la carne), i vizi, i teschi (riflessioni sulla morte), le strade che conducono alla santità.

Non dimentichiamo che la ricchezza decorativa costituì, nei secoli, una "guida alla lettura" del libro di pietra. I significati di questo libro rischiano di sfuggirci, oggi, se non ci soffermiamo sui particolari. Al di là del colpo d'occhio, però, degli spazi e dei volumi costruiti, il libro di pietra è aperto di fronte ai nostri occhi e ci invita a leggerlo, pagina per pagina, una parola dopo l'altra. La collocazione, l'esatto ordine delle figure, il modo e i particolari in cui sono rappresentate, tutto parla. Troveremo il dizionario per tradurre, nel linguaggio nostro di uomini moderni, la parola dipinta e scolpita degli antichi monumenti?

Nota bibliografica

R. ARNEODO, Garessio - Pagine di storia, ed. Nicola Milano, Farigliano, 1970.

Pubblicato 31/03/2008 12:32:13