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Articoli

di Rosella Redaelli

I LONGOBARDI E LA MOZZARELLA


Un documento longobardo dell'XI secolo riporta che la principessa longobarda Aloara distribuiva la “mozza” ai monaci dell’abbazia di San Lorenzo ad Septimum, vicino ad Aversa. Si tratta della pasta filata della mozzarella, che sarebbe così un’invenzione dei longobardi, proprio come la dieta mediterranea.

Se i cinesi ci contendono il primato sull’invenzione degli spaghetti, ora i bavaresi potrebbero rivendicare la paternità della mozzarella di bufala. In pochi sanno che uno dei formaggi che regna incontrastato sulle nostre tavole estive, arricchisce le pizze ed è uno dei simboli della cucina italiana nel mondo è in realtà un’invenzione longobarda.

I saraceni introdussero i bufali in Sicilia, ma furono i Longobardi, dopo la battaglia del Garigliano, ad ottenere come bottino di guerra i grossi animali neri e ad utilizzare per primi il latte per la lavorazione del formaggio con la pasta filamentosa da “mozzare”. Un documento longobardo dell'XI secolo riferisce che la principessa Aloara, distribuiva la “mozza” ai monaci dell’abazia di San Lorenzo ad Septimum vicino ad Aversa, mentre altre fonti riferiscono che la principessa aveva offerto ospitalità ai monaci che erano già maestri nella lavorazione del pasta da “mozzare”.

Ancora più curioso è scoprire che sempre ai Longobardi dobbiamo la nascita della dieta mediterranea, tanto apprezzata oggi da medici e nutrizionisti per il minor apporto di carne a favore di proteine vegetali. L’abitudine a consumare più carboidrati, frutta e verdura rispetto alla carne nasce nelle terre della

Langobardia Minor, tra i ducati di Spoleto e Benevento, dove inizia la produzione di olio di noci, utilizzato per il condimento delle pietanze.

Ai Longobardi dobbiamo anche l’invenzione del mattarello, chiamato “matalis” (dal termine celtico “matare”), un bastone di legno ricavato dalle lance che le donne usavano per stendere l’impasto del pane, così come l’abitudine di consumare i pasti seduti e non più sdraiati e appoggiati su un gomito come all’epoca dei romani.

Lo studio dell’origine delle parole molto ci racconta delle tradizioni di un popolo: “panca” è un termine longobardo che indica la nuova maniera seduta utilizzata dal popolo per sedersi a tavola; allo stesso modo pare che i longobardi fossero maestri nelle pietanze in brodo: la zuppa deriva proprio da “supfa” longobarda. D'invenzione bizantina sono invece le posate che i longobardi parvero apprezzare a tal punto che esiste una raffigurazione di Re Rotari intento a mangiare il pollo con forchetta e coltello.

L’arte della tavola dai Longobardi ai Visconti si incontra a Monza sulle pareti del Duomo, tra quelle scene dipinte dalla bottega degli Zavattari e che nei recenti restauri hanno ritrovato tutta la brillantezza dei colori, delle lacche e degli ori originali.

Fratelli Zavattari, Banchetto di nozze, Cappella di Teodolinda, Duomo di Monza, 1444

La mozzarella di bufala è oggi l’orgoglio della Campania e dell’Agro Pontino, nella pizza è impareggiabile, d’estate poi è una delizia. Stiamo parlando della mozzarella di bufala: un’eccellenza tutta italiana, antica ma dalle origini assai dibattute. Tutto ruota attorno a una domanda: l’animale che è alla base di questo formaggio, il bufalo indiano o bufalo d’acqua (Bubalus bubalis), è autoctono dell’Italia centro-meridionale oppure venne importato in un’epoca imprecisata, dall’Africa o dall’Asia?

Ci sono, in proposito, tre ipotesi. La prima propende per l’origine autoctona del bufalo italiano, basata su alcuni resti risalenti al quaternario e ritrovati nel Lazio e nell’isola di Pianosa. Tuttavia, si tratta di una presenza probabilmente legata al differente clima dell'Europa prima delle glaciazioni.

Un’altra teoria fa risalire l’introduzione del bufalo in Italia ai Longobardi, sulla base del documento delle Leges Longobardorum: tuttavia, i “bubali” dalle lunghe corna citati potrebbero essere in realtà dei bovini di razza podolica, allora sconosciuti in Italia. È probabile, cioè, che anche all’epoca delle invasioni barbariche si perpetuasse l’equivoco del “bufalo”, termine con i quali i Romani indicavano in genere tutti i bovini selvatici, inclusi i buoi.

Più probabile, invece, la terza ipotesi, che fa risalire l’introduzione del bufalo in Italia agli Arabi: dopo le glaciazioni, infatti, l’habitat di questo animale venne confinato all’India e, successivamente, alla Mesopotamia. Mentre, in Italia, esistono prove inconfutabili della presenza del bufalo a partire dal X secolo, sia nei documenti che sotto forma di resti. Secondo gli studiosi, dunque, furono i Saraceni a introdurre il bufalo, dapprima in Sicilia e successivamente, in epoca sveva e normanna, nell’area campana. Risalgono al XII secolo anche le prime prove documentali, all’Abbazia di Farfa, della presenza del bufalo nel Lazio.

Nel XII secolo, nel Monastero di San Lorenzo in Capua venivano già prodotte le “mozze”, le mitiche mozzarelle di bufala. La loro difficile conservazione e una tecnica di produzione ancora primitiva, resero però la fama di questo capolavoro piuttosto circoscritta che al massimo arrivava a Napoli e a Salerno. Anzi, l’allevamento del bufalo divenne sinonimo di aree paludose, malsane e pericolose, e per questo anche le sue carni e il suo latte erano guardati con sospetto. Basti pensare che, a Roma, erano gli Ebrei a detenere il monopolio della macellazione della carne di bufala. Di bufala, ad esempio, erano (e sono) le famose coppiette, fettine seccate al sole con pepe e sale. Mentre al Sud, durante la dominazione spagnola, l’esotica e poco nobile bufala veniva addirittura cacciata, come in un moderno safari. Nel suo Viaggio in Italia, così Johann Wolfgang von Goethe descriveva il suo viaggio nella Piana del Sele, verso Paestum: “La mattina ci mettemmo in cammino assai per tempo e percorso una strada orribile arrivammo in vicinanza di due monti dalle belle forme, dopo aver traversato alcuni ruscelli e corsi d’acqua, dove vedemmo le bufale dall’aspetto d’ippopotami e dagli occhi sanguigni e selvaggi. La regione si faceva sempre più piana e brulla: solo poche casupole qua e là denotavano una grama agricoltura”.

Tuttavia fu il Settecento, per la bufala, il secolo della svolta. I Borboni, infatti, diedero grande impulso all’allevamento della bufala, e fu proprio nella tenuta reale di Carditello che la dinastia di origini spagnole creò un allevamento “sperimentale” dove le tecniche di produzione della mozzarella vennero perfezionate. Nelle piane del Volturno ed in quella del Sele si possono ancora notare le antiche bufalare, costruzioni in muratura di forma circolare dove avveniva la produzione della famosa mozzarella. Una vita grama, quella dei bufalari, sempre in lotta con la malaria, che come paga riceveva poco burro alla settimana e il diritto di contendere al bestiame la cicoria selvatica. Mentre, dell’animale, si poteva cucinare al massimo la coda. Il consumo della carne di bufalo, invece, sembra fosse discretamente diffuso a Napoli, soprattutto presso la comunità ebraica, così come avveniva a Roma. Nel 1852, Vito Antonio Ascolesi definiva la carne di bufala “dura e disgustosa al palato, e ripugnante all’odorato, anche quando l’animale è giovine”, mentre nel 1903, per Giuseppe Santini, “quella dei bufalotti è assai pregiata e, mangiata inconsciamente, può senza dubbio passare per carne di bovino”: insomma, da qui potrebbe derivare il termine… “bufala”, intesa come “fregatura”.

Con l’Unità d’Italia le nuove infrastrutture stradali e ferroviarie, assieme alla bonifica delle aree paludose, diede il via al moderno allevamento di bufala. In particolare, con la bonifica della Piana del Sele e della Pianura Campana (partite già con i Borboni a inizio ‘800 e terminate col Fascismo) e con quella dell’Agro Pontino durante il Ventennio. Con il procedere delle bonifiche, però, il numero dei capi allevati cominciò a calare, toccando il minimo negli anni ’50, quando il bufalo italiano rischiò praticamente di sparire. Le nuove tecniche di allevamento “chiuso”, ma anche di conservazione e di trasporto – oltre al boom della pizza – consentiranno tuttavia ben presto alla bufala di risorgere, tanto che gli allevamenti sono in continua crescita anche oggi, e i capi allevati nel 2010 erano il doppio di quelli del 2000.

Non dimentichiamo che, oltre alla mozzarella, agli altri latticini (provola, ricotta, stracchino, caciobufala e perfino mascarpone) e alle coppiette, la carne di bufala può essere utilizzata in molte altre ricette, analogamente a quella bovina, dai brasati agli spezzatini. Ma in Campania si possono trovare anche salami di bufala, bresaole di bufala, salsicce di bufala. La carne di bufala è anzi più magra e più proteica di quella bovina.

(di Redazione Web - La cucina italiana)

Pubblicato 02/01/2020 08:05:40