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Liutprand - Associazione Culturale

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Articoli

di Alberto Arecchi

SAN BIAGIO E LE TRADIZIONI PAVESI


In molte chiese, durante la celebrazione liturgica della festa di San Biagio, il 3 febbraio, i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando due candele. È usanza far benedire le candele il giorno prima, il giorno della Candelora.

San Biagio di Sebaste fu medico e vescovo cattolico vissuto tra il III e il IV secolo nella città armena di Sebaste, l’attuale città di Sivas, in Turchia, in una zona centrale dell’Asia Minore. A causa della sua fede fu imprigionato dai Romani, durante il processo rifiutò di rinnegare la fede cristiana: per punizione fu straziato con pettini di ferro usati per cardare la lana. Morì decapitato. Le chiese cristiane (quella cattolica e quella ortodossa) lo hanno dichiarato santo e protettore della gola riconoscendogli un «miracolo». Secondo la tradizione, infatti, salvò un giovane da una lisca che gli si era conficcata in gola: Biagio diede al ragazzo morente una grossa mollica di pane che scendendo in gola la rimosse.

San Biagio morì martire, decapitato, nell’anno 316, tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell'Impero Romano (313). Una motivazione plausibile sul suo martirio può essere trovata nel dissidio tra Costantino I “il Grande” e Licinio, i due imperatori-cognati (314), che portò a persecuzioni locali, con distruzione di chiese, condanne ai lavori forzati per i cristiani e condanne a morte per i vescovi.

Nel sinassario armeno si legge un compendio della vita del santo:

«Nel tempo della persecuzione di Licinio, imperatore perfido, san Biagio fuggì, ed abitò nel monte Ardeni o Argias; e quando vi abitava il santo, tutte le bestie dei boschi venivano a lui ed erano mansuete con lui, egli le accarezzava; egli era di professione medico, ma con l'aiuto del Signore sanava tutte le infermità e degli uomini e delle bestie ma non con medicine, ma con il nome di Cristo. E se qualcuno inghiottiva un osso, o una spina, e questa si metteva di traverso nella gola di lui, il santo con la preghiera l'estraeva, e sin da adesso ciò opera; se alcuno inghiotte un osso, o spina, col solo ricordare il nome di S. Biagio subito guarisce dal dolore. Una povera donna aveva un porco, il quale fu rapito da un lupo; venne la donna dal Vescovo, e piangendo gli fece capire come il lupo aveva rapito il suo porco; allora il Santo minacciò il lupo, e questo rilasciò il porco. Fu ad Agricolao accusato il Vescovo, il quale mandò soldati, che lo condussero avanti ad esso; il giudice gli fece molte interrogazioni, ed egli in tutta libertà confessò, che Cristo era Dio, e maledisse gli idoli, e i loro adoratori, e però subito fu messo in prigione. Sentì la vedova, che il Vescovo era stato messo in prigione, uccise il porco, cucinò la testa e i piedi d'esso, e gli portò al Vescovo con altri cibi e legumi: mangiò il Santo, e benedisse la donna, e l'ammonì, che dopo la sua morte ciò facesse ogni anno nel giorno della sua commemorazione, e chi ciò facesse in memoria di lui sarebbe la sua casa ricolma d'ogni bene. Dopo alcuni giorni levarono il santo dal carcere e lo portarono davanti al giudice, e rese la sua prima confessione, e chiamò gli idoli demoni, e gli adoratori degli idoli chiamò adoratori del demonio. Si sdegnò il giudice: legarono il Santo ad un legno, e cominciarono coi pettini di ferro a stracciargli la carne, e appresso lo deposero e portarono in carcere. Sette donne lo seguirono, le quali col sangue del Santo ungevano il loro cuore e volto: i custodi delle carceri presero le donne, e le portarono al giudice, e le sante donne confessarono, che Cristo era Dio; furono rilasciate; ma le donne non contente di ciò andarono dagli idoli, e sputarono esse in faccia, e racchiusi tutti in un sacco, e quello legato fu da esse gettato in un lago. Ciò fatto tornarono al giudice dicendogli: «Vedi la forza dei tuoi dei, se possono uscire dal profondo lago.» Comandò il giudice, che si preparasse il fuoco, e piombo liquefatto, spade, pettini di ferro, ed altri tormenti; a dall'altra parte fece porre tele di seta, ed altri ornamenti donneschi d'oro, d'argento e disse alle donne: «Scegliete quel che volete». Le donne pure gettarono le tele nel fuoco, e sputarono sopra gli ornamenti. Si sdegnò il giudice, e comandò che si apprendessero, e con pettini di ferro fece dilacerare il corpo, e poi le gettarono nel fuoco, da cui uscirono illese, e dopo molti tormenti tagliarono ad esse la testa, e così consumarono il martirio. Gettarono il Santo Biagio nel fiume, ed il Santo si sedette sopra l'acqua quasi sopra un ponte. Entrarono nel fiume 79 soldati per estrarre il santo, e tutti s'affogarono, ed il Santo uscì senza danno: lo presero per tagliargli la testa; e quando arrivarono a quel luogo, orò lunga orazione e domandò a Dio, che se alcuno inghiotte osso, o spina, che gli si attraversi la gola, e senta dolore, e preghi Dio col nominar lui, subito sia libero dal pericolo. Allora calò sopra di lui una nuvola, e si sentì da quella una voce che diceva: «Saranno adempiute le tue domande, o carissimo Biagio: tu vieni, e riposa nella gloria incomprensibile che ti ho preparato per le tue fatiche». Appresso tagliarono la testa al Vescovo Biagio nella città di Sebaste. Un uomo chiamato Alessio prese il corpo del Santo Vescovo Biagio, lo avvolse in una sindone e lo seppellì sotto il muro della città, dove si compiono molti miracoli a gloria del nostro Dio Gesù».

Il corpo di san Biagio fu poi sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nell’anno 732, parte dei suoi resti mortali, deposti in un'urna di marmo, furono imbarcati, per essere portati a Roma. Una tempesta fermò la navigazione sulla costa di Maratea, dove i fedeli accolsero l'urna contenente le reliquie – il torace e altre parti del corpo – e la conservarono nella Basilica di Maratea, sul monte San Biagio. La cappella con le reliquie fu poi posta sotto la tutela della Regia Curia dal re Filippo IV d'Asburgo, con lettera reale datata 23 dicembre 1629: da allora è nota popolarmente col nome di Regia Cappella.

San Biagio e un santo eremita, "homo selvaticus" irsuto e coperto di pelli, nella cripta di San Giovanni Domnarum.

Un gran numero di località vantano di possedere diversi frammenti del corpo del santo. Ciò è dovuto, oltre all'antica usanza di sezionare i corpi dei santi e distribuirne le parti per soddisfare le richieste dei fedeli, alla pratica della simonia, una delle cui forme consisteva nel vendere reliquie false, o reliquie di santi omonimi ma meno conosciuti.

Il Padre Romualdo Ghisoni, nel suo libro “Flavia Papia Sacra”, pubblicato nel 1699, riferisce la tradizione pavese che il corpo di San Biagio fosse conservato proprio a Pavia, nella cripta della chiesa di San Giovanni Domnarum, fondata nell’anno 653, al tempo del Re dei Longobardi Rodoaldo, dalla di lui moglie Gundeberga, figlia di Teodolinda.

San Biagio, nella cripta di San Giovanni Domnarum.

Opicino de Canistris nel sec. XIV scrisse che la chiesa si chiama di San Giovanni Domnarum perché San Damiano, Vescovo di Pavia, costruendo a Pavia due Battisteri, ne eresse uno per gli uomini nella chiesa Cattedrale e l’altro per le donne in questa chiesa di S. Giovanni.

Altra immagine di San Biagio, nella cripta di San Giovanni Domnarum.

Gundeberga dotò questa chiesa con regale munificenza e le donò ricchissime suppellettili. Qui volle essere sepolta. Quando chiuse i suoi giorni, ebbe un sepolcro dal lato del Presbiterio, verso la casa Canonica, e una preziosa lapide con l’iscrizione: «Qui giacciono le ossa di Gundeberga, Regina dei Longobardi e fondatrice di San Giovanni Domnarum». Tutti gli anni, nel giorno stesso di dedicazione di questa chiesa, che cade il 9 novembre, si celebra il suo anniversario funebre.

“Nella cripta erano le reliquie d’un Santo Vescovo e di San Biagio, il cui Santo Corpo, con quelli dei due fanciulli con lui Coronati Martiri, furono portati in questa chiesa – secondo la tradizione di Pavia longobarda – per opera della regina Gundeberga.

La posizione della camera sepolcrale del santo, nella cripta (la camera oggi è vuota).

Era costume che a tutti coloro che venivano alla benedizione della gola, il 3 febbraio, fosse offerto un bicchiere da bere per implorare l’aiuto di San Biagio. Quest’uso fu temporaneamente soppresso nella Visitazione Apostolica dell’anno 1576 dal Visitatore, come superstizioso e abuso manifesto. Tuttavia in seguito fu consentito che la consuetudine venisse rinnovata come prima (ed è ancora ricordata dal Padre Romualdo nel suo libro del 1699).

Rimangono due immagini del Santo, affrescate nella cripta e ritenute opere del XIV secolo, e un’altra sua immagine in alto, nella facciata, nel tondo di sinistra.

La mattina di San Biagio (3 febbraio) è tradizione in Lombardia mangiare un pezzetto di panettone benedetto avanzato da Natale, per tenere lontano i malanni e proteggersi dal mal di gola. Ovviamente sarà un po’ raffermo ma se, come si dice, allontana i malanni di stagione, vale la pena consumarlo. Per scoprire l'origine di questa usanza bisogna guardare indietro e tornare al passato dal sapore contadino della nostra regione.

Secondo la leggenda, tutto iniziò poco prima del periodo natalizio, quando una massaia portò un panettone a un frate di nome Desiderio, affinché lo benedicesse. Lui, forse troppo occupato, certamente molto goloso, si dimenticò del dolce per diversi giorni, salvo spiluccarlo man mano fino a farne rimanere solo l'involucro. Quando la donna tornò era il 3 febbraio e il panettone era già finito da un bel pezzo. Ma il religioso non si perse d’animo e condusse la donna all’angolo nel quale c’era l’involucro, pronto ad accampare qualche scusa per la sua scomparsa. Ma con gran meraviglia scoprì che il panettone era riapparso, grosso il doppio. E così questa sovrannaturale apparizione fu attribuita a San Biagio.

La tradizione vuole che la mattina del 3 febbraio la famiglia faccia colazione con l’ultimo panettone superstite delle feste natalizie. Al dolce vengono attribuite proprietà miracolose in grado di preservare dai malanni della gola.

Pubblicato 29/12/2022 17:56:58